“Per intercedere a favore del nostro popolo siamo chiamati anche noi ad alzare la voce contro l’ingiustizia e la prevaricazione, che schiacciano la gente e si servono della violenza per gestire gli affari all’ombra dei conflitti”. Ne è convinto il Papa, che incontrando nella cattedrale di Giuba il clero del Sud Sudan ha affermato: “Se vogliamo essere pastori che intercedono, non possiamo restare neutrali dinanzi al dolore provocato dalle ingiustizie e dalle violenze perché, là dove una donna o un uomo vengono feriti nei loro diritti fondamentali, Cristo è offeso. Se c’è una tentazione da cui dobbiamo guardarci, è proprio quella di lasciare le cose come stanno e non interessarci delle situazioni per paura di perdere privilegi e convenienze”. “Per liberare dal male non basta la profezia, occorre protendere le braccia ai fratelli e alle sorelle, sostenere il loro cammino”, come ha fatto Mosé che “per quarant’anni, da anziano, rimane accanto ai suoi”. “E non è stato un compito facile”, ha sottolineato Francesco: “Eppure, Mosè non si è ritirato: sempre vicino a Dio, non si è mai allontanato dai suoi”. “Anche noi abbiamo questo compito”, la consegna del Papa: “tendere le mani, rialzare i fratelli, ricordare loro che Dio è fedele alle sue promesse, esortarli ad andare avanti. Le nostre mani sono state unte di Spirito non solo per i sacri riti, ma per incoraggiare, aiutare, accompagnare le persone ad uscire da ciò che le paralizza, le chiude, le rende timorose”.