“Davanti al Buon Pastore, comprendiamo che non siamo capi tribù, ma pastori compassionevoli e misericordiosi; non padroni del popolo, ma servi che si chinano a lavare i piedi dei fratelli e delle sorelle; non un’organizzazione mondana che amministra beni terreni, ma la comunità dei figli di Dio”. Così il Papa, incontrando il clero del Sud Sudan nella cattedrale di Giuba, ha attualizzato l’episodio biblico di Mosé e del roveto ardente. “Facciamo come Mosè al cospetto di Dio”, l’invito di Francesco: “togliamoci i sandali con umile rispetto, spogliamoci della nostra presunzione umana, lasciamoci attrarre dal Signore e coltiviamo l’incontro con lui nella preghiera; accostiamoci ogni giorno al mistero di Dio, perché bruci le sterpaglie del nostro orgoglio e delle nostre ambizioni smodate e ci renda umili compagni di viaggio di quanti ci sono affidati”. L’errore iniziale di Mosé, ha spiegato il Papa, era stato quello di “pensare di essere lui il centro, contando solo sulle sue forze. Ma così era rimasto prigioniero dei peggiori metodi umani, come quello di rispondere alla violenza con la violenza”. “A volte qualcosa di simile può capitare anche nella nostra vita di sacerdoti, diaconi, religiosi e seminaristi”, ha commentato Francesco: “sotto sotto pensiamo di essere noi il centro, di poterci affidare, se non in teoria almeno in pratica, quasi esclusivamente alla nostra bravura; o, come Chiesa, di trovare la risposta alle sofferenze e ai bisogni del popolo attraverso strumenti umani, come il denaro, la furbizia, il potere. Invece, la nostra opera viene da Dio: lui è il Signore e noi siamo chiamati a essere docili strumenti nelle sue mani”.