9 giorni di cammino da Rumbek a Juba per incontrare Papa Francesco. 60 giovani appartenenti a diversi clan tribali guidati dal vescovo italiano hanno camminato 20/25 chilometri al giorno, con 9 tappe in diverse comunità. In alto lo striscione “Walking for peace”. E’ stata questa l’avventurosa iniziativa voluta da mons. Christian Carlassare, il vescovo comboniano di Rumbek in Sud Sudan ferito con colpi d’arma da fuoco alle gambe nell’aprile 2021. 45 anni, di origine vicentina, monsignor Carlassare è il più giovane vescovo italiano e sta svolgendo la sua missione nel Paese più giovane al mondo, che in questi giorni accoglie il Papa e spera nella pace. Oltre ai 60 giovani camminatori c’erano anche 24 religiosi, preti e laici e un medico. Li hanno accompagnati in auto durante tutto il percorso, per assisterli e per motivi di sicurezza. Sono partiti il 25 gennaio, festa della conversione di San Paolo e Giornata di preghiera per l’unità dei cristiani, dopo aver fatto una preghiera ecumenica con gli arcivescovi della Chiesa episcopale e della Chiesa anglicana.
Sono arrivati a Juba il 2 febbraio, nel pomeriggio, in tempo per partecipare alla messa diocesana. Oggi, 4 febbraio, avranno una sorpresa: dopo l’incontro con i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati, le consacrate e i seminaristi presso la cattedrale di Santa Teresa, Papa Francesco saluterà i giovani pellegrini. “La nostra iniziativa ha riscosso tanto interesse da parte di molti e anche il Papa vuole incontrarci 5 minuti – dice al Sir monsignor Carlassare -.
Sulla porta della chiesa farà un saluto ai nostri giovani. Siamo molto entusiasti per questa attenzione che ci riserva”.
“Sono stati giorni di cammino intenso. Abbiamo camminato soprattutto il mattino per arrivare nelle comunità il pomeriggio – racconta -. Abbiamo avuto momenti di preghiera, condivisione, ascolto e un teatro della pace molto bello, preparato dai giovani. Abbiamo coperto 20/25 km ogni giorno e nei tratti più lunghi ci siamo appoggiati all’aiuto delle auto, perché le distanze sono enormi. Ogni giorno avevamo un tema. Pregavamo al mattino presto prima di partire, meditavamo lungo il cammino e poi la sera, prima di andare a dormire, concludevamo valutando la giornata”.
“C’è tanta gioia e aspettativa per questa visita. Si crede che la presenza del Papa possa cambiare le cose in meglio.
Ossia rendere fattuale quella pace tanto proclamata, che deve diventare concreta nella vita di tante persone”, afferma monsignor Carlassare.
Il messaggio dei vescovi al Papa. “Il messaggio dei vescovi sarà di tanta stima nei confronti del Papa e riconoscimento per la sua azione di pace per il Sud Sudan, per il suo magistero – dice -, con il desiderio di rimanere in comunione e di ricevere sempre aiuto e sostegno nell’azione pastorale e profetica di questa Chiesa giovane, che ha voglia di fare ma trova anche tante difficoltà interne”.
In Sud Sudan c’è stata nei giorni scorsi tanta attesa da parte di tutti, non solo dei cattolici: “I sudsudanesi apprezzano l’attenzione del Papa per il Paese e sentono il bisogno di questo sostegno non solo in termini di risorse ma soprattutto di preghiera, di comunione, di fede. Sono certo che saranno giorni in cui la gente rinascerà nella propria fede e sarà chiamata a viverla nell’impegno e nel coraggio.
Penso che sarà una visita molto importante che lascerà un segno anche nella storia.
C’è la gioia di ricevere la benedizione del Papa: “Ce l’ha sempre data a distanza ma ora che viene in mezzo a noi è diverso. Siamo in attesa del suo messaggio che immaginiamo verterà sull’unità, la comunione e la pace e siamo anche curiosi di vedere come affronterà questo tema”.
Monsignor Carlassare spera che le parole del Papa incoraggino le istituzioni “ad essere veramente al servizio di tutti cittadini e non ciascuno del proprio gruppo, perché il bene dell’altro sia anche il bene di tutti. Una piccola comunità in sofferenza dentro il Paese diventa una sofferenza e un ostacolo per tutto il Paese”. Purtroppo, spiega, “le istituzioni sono ancora fragili, c’è ancora tanta corruzione, faticano a dare una visione delle cose da fare”. Il vescovo riconosce anche le responsabilità dei cittadini “nell’essere attivi, in comunione con le istituzioni”: “Quando le istituzioni chiamano alla pace, alla tranquillità, al disarmo, dovrebbero trovare
dei cittadini pacificati, che abbiano disarmato il loro cuore, oltre che il disarmo fattivo dalle armi, che è una maledizione per questo Paese”.
“Abbiamo bisogno di cittadini più maturi, più istruiti, con più visione – afferma il vescovo -, che siano capaci di scegliere la pace anche in quei momenti difficili in cui sarebbe più facile usare la violenza. C’è bisogno dell’aiuto delle istituzioni ma è frutto anche della maturità delle persone, che vedo già presente in alcune comunità cristiane. Dal cammino di fede che hanno fatto rigettano ogni forma di violenza, anche quando c’è manipolazione. Queste comunità di base sono capaci di mettere in atto dinamiche nuove”. Il vescovo pensa che il Papa incoraggerà la Chiesa locale “ad essere sempre più al servizio della giustizia e della pace con coraggio e profezia, con attenzione alle persone ultime e marginalizzate, vittime di tante situazioni ingiuste”: “Abbiamo bisogno di una Chiesa davvero samaritana, al servizio, come un pastore buono capace di dare anche la vita per le pecore”.
Una visita molto importante per l’ecumenismo nel mondo. La visita di Papa Francesco in Sud Sudan, dopo i giorni trascorsi nella Repubblica democratica del Congo, ha anche un rilevante carattere ecumenico, vista la presenza a Juba dell’arcivescovo di Canterbury Justin Welby e del pastore Iain Greenshields, moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia. “Sarà una visita molto importante per l’ecumenismo e la pace, non solo per il Sud Sudan ma a livello globale”, è convinto monsignor Carlassare. “L’ecumenismo – osserva – è stato trattato come una materia cattedratica, teologica. Sono stati trovati punti di accordo e disaccordo ma in Sud Sudan o in esperienze simili troviamo le Chiese sulla stessa strada, che si incontrano e riconoscono che in fondo si è fratelli. Perché quando si guarda il Cristo non c’è divisione che tenga e ci si ritrova nello stesso cammino”.
“Questo è l’ecumenismo più puro, più reale, più pratico.
La divisione non viene da un amore al Cristo ma da un amore dato ad altre cose che sostituiscono il cuore del messaggio cristiano”.