Il papa torna per la quinta volta in Africa: dal 31 gennaio al 5 febbraio visita infatti la Repubblica Democratica del Congo e il Sud Sudan, recuperando un viaggio previsto per luglio e rinviato per le necessarie cure al ginocchio. Il viaggio lo porta in due paesi da tempo stretti nella duplice morsa di guerra e fame: mentre i potenti – o i gruppi che rappresentano forze di potere avverse – si attaccano, la popolazione subisce e soffre.
Repubblica democratica del Congo e Sud Sudan sono da decenni teatro di scontri. Nel primo, fare il guerrigliero è diventato un mestiere, il che significa che il conflitto è connaturato allo status vigente: sono oltre 120 i gruppi armati e le milizie pronte a servire chi li paga. A ciò si aggiungono le tensioni anche con i paesi stranieri – uno tra tutti la Cina -, per il possesso delle ricchezze minerarie (oro e diamanti) come della foresta equatoriale (terreni e legno), la seconda più grande al mondo dopo quella amazzonica. E dove ci sono interessi e ricchezze da spartire, senza uno stato forte che le preservi mettendo al centro la propria gente e non la cassaforte, la pace è in pericolo non meno della vita della popolazione. Lo sa l’Italia, che il 22 febbraio di due anni fa vide colpire a morte il giovane ambasciatore Luca Attanasio. Lo sanno i cristiani dell’area a nordest del paese, sgraditi alle forze simpatizzanti dell’Isis: solo due settimane fa, in un attentato avvenuto in una chiesa, si sono avuti 17 morti e una quarantina di feriti gravi.
Il Sud Sudan è un giovane stato, nato nel 2011 dopo una guerra quasi trentennale per l’indipendenza dal Sudan. Ma la pace non è ancora di casa e il paese è teatro di un conflitto interno interetnico: da una parte i fedeli all’ex presidente di etnia nuer, dall’altra quelli fedeli al presidente in carica di etnia dinka. Nel mezzo la popolazione stremata da un perenne stato di conflitto e povertà estrema.
Date la situazione non stupisce che da entrambi la gente scappi: vi sono sfollati interni, verso zone meno colpite dalla violenza, e vi sono esodi verso le nazioni vicine alla ricerca di una possibilità di vita. In Sud Sudan è sfollato un terzo della popolazione, per il Congo l’Onu parla di sei milioni di sfollati interni, oltre a costanti flussi dal nord est verso l’Uganda.
Non basta: su entrambi la fame è più che un rischio temuto. Il Cesvi (organizzazione umanitaria italiana laica e indipendente, fondata a Bergamo nel 1985) attraverso l’Indice globale della fame ha stilato la classifica dei paesi dove la situazione è oggi allarmante. Ai primi cinque posti ci sono: Yemen, Repubblica centrafricana, Madagascar, Repubblica democratica del Congo e Ciad. Il Sud Sudan non è distante dal podio. Lo stesso studio constata come la fame sia sempre più presente nel mondo, complici le guerre, il cambiamento climatico, l’aumento del costo degli alimenti.
Il legame guerra e fame è confermato dalle statistiche: il 70% delle persone che nel mondo soffre fame e malnutrizione vive in paesi in guerra. Nel 2021 le persone malnutrite erano 828 milioni (50 milioni in più rispetto al 2020, 150 milioni in più rispetto agli anni pre pandemia).
Guerra e pace è allora un binomio che vive solo sulla copertina di un romanzo di Tolstoj, mentre sulla terra è la fame la compagna del primo termine, quella guerra che l’autore – pur ammettendola come male necessario nel quale però “non trastullarsi come bambini” – definì convintamente come “la cosa più abominevole della vita”.
Guerra e fame
Il papa torna per la quinta volta in Africa: dal 31 gennaio al 5 febbraio visita infatti la Repubblica Democratica del Congo e il Sud Sudan, recuperando un viaggio previsto per luglio e rinviato per le necessarie cure al ginocchio. Il viaggio lo porta in due paesi da tempo stretti nella duplice morsa di guerra e fame: mentre i potenti - o i gruppi che rappresentano forze di potere avverse - si attaccano, la popolazione subisce e soffre.