“Il punto di riferimento deve essere sempre la persona che, nella comunicazione, è coinvolta in modo profondo. Per questo, la sorgente non può che essere il cuore”. Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei e autore, tra gli altri, del volume “Social media: uso o ab-uso. Una comunicazione dal cuore cristiano” (Lev), commenta il Messaggio per la 57ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che quest’anno si celebra, in molti Paesi, il 21 maggio sul tema “Parlare col cuore. ‘Secondo verità nella carità’ (Ef 4,15)”.
Dopo aver riflettuto, nei messaggi precedenti, sui verbi “andare e vedere” e “ascoltare” il Papa si sofferma quest’anno sul “parlare con il cuore”…
Non si può cogliere il significato pieno del Messaggio di Papa Francesco per la 57ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali prescindendo dai testi che lo hanno preceduto nelle ultime due edizioni. Ciò viene chiarito, sin dalle prime battute, dallo stesso Francesco, quando ricorda i verbi che hanno accompagnato la riflessione nel 2021 (“andare e vedere”) e nel 2022 (“ascoltare”) per arrivare adesso al “parlare”. È il culmine del processo comunicativo in cui ogni singola azione rappresenta una spinta e una motivazione nella circolarità che ne è alla radice.
Non basta mettersi in movimento, se non si ha la disponibilità ad ascoltare veramente prima di esprimersi con la parola.
Qual è la sfida principale in questo “cambiamento d’epoca” favorito anche dai media?
Dobbiamo ripartire dalle fondamenta. Ogni azione comunicativa ha in sé una dinamicità propria che si esprime nello spazio e nel tempo, connettendo storie, tessendo trame di comprensione, aumentando conoscenze, rafforzando legami… Il punto di riferimento è sempre la persona che, nella comunicazione, è coinvolta in modo profondo. Per questo, la sorgente non può che essere il cuore. Si comunica in modo pieno solo quando si realizza fino in fondo la donazione di sé nell’amore.
Come deve cambiare la comunicazione?
Si deve passare da una comunicazione statica e formale a una comunicazione dinamica e di contenuto, intesa cioè come rapporto di comunione e di dono reciproco. Ben consci che ogni forma di manipolazione agisce subdolamente in contraddizione a questi principi. In concreto,
la comunicazione può essere strumentalizzata ed essere antitetica alla comunione, tendendo alla chiusura, alla divisione, alla contrapposizione, alla conflittualità.
Insomma, una contraddizione in termini. Questa, ricorda il Papa nel messaggio, “è responsabilità di ciascuno”, quasi a sottolineare che nell’ambiente digitale tutti possono e devono essere protagonisti di “una comunicazione aperta e accogliente”.
Il Papa invita a non fomentare un “livore che esaspera” ma aiutare “le persone a riflettere pacatamente, a decifrare, con spirito critico e sempre rispettoso, la realtà in cui vivono”. È un compito affidato ai comunicatori cristiani?
È un compito che riguarda tutti e, in modo particolare, i cristiani. E questo per vocazione e coerenza di vita. Non si può accogliere, infatti, il dono della fede e disgiungerlo dall’impegno comunicativo. Sarebbe una negazione. Nel “cambiamento di epoca” che stiamo vivendo, dobbiamo creare ponti di comprensione abbattendo i muri dell’intolleranza e dell’odio.
La comunicazione può giocare un ruolo decisivo anche nel conflitto globale che stiamo vivendo?
Certamente, così come in ogni vissuto quotidiano. Non bisogna considerare la comunicazione come un qualcosa d’altro, relegato solo alla sfera tecnica o tecnologica. “Si rimane atterriti – scrive il Papa nel messaggio – nell’ascoltare con quanta facilità vengono pronunciate parole che invocano la distruzione di popoli e territori. Parole che purtroppo si tramutano spesso in azioni belliche di efferata violenza”.
Quella del linguaggio è una questione capitale. Le parole, quando sono appesantite dalle conflittualità, rendono difficile la comprensione del messaggio, non consentono il formarsi di una corretta opinione pubblica e, nel peggiore dei casi, sfociano in odio.
Da questa deriva si consolida e si diffonde un “analfabetismo assoluto”. Non è solo una questione tecnica, ma soprattutto un impegno etico.
Anche all’interno della Chiesa c’è bisogno di una comunicazione che “accenda i cuori”?
Afferma il Papa nel testo: “Sogno una comunicazione ecclesiale che sappia lasciarsi guidare dallo Spirito Santo, gentile e al contempo profetica, che sappia trovare nuove forme e modalità per il meraviglioso annuncio che è chiamata a portare nel terzo millennio”. Molto bello il richiamo alla gentilezza e alla profezia: non si tratta di suscitare consenso, ma di dare calore e anima alla comunicazione. Quest’anno ricorderemo il 60° del decreto conciliare Inter mirifica, promulgato da Paolo VI il 4 dicembre 1963. L’espressione “Inter Mirifica”, che deriva dalle parole iniziali del documento, esprime anche una collocazione ben precisa: noi con il nostro impegno ci poniamo “tra le meravigliose innovazioni tecniche”. Ma perché esse siano tali, cioè meravigliose, servono il nostro contributo specifico e la nostra testimonianza. Ritornare alle sorgenti, alla gioia del Vangelo, può aiutare a progettare il domani.