La seconda domenica del tempo ordinario propone nella liturgia della Parola un quadro legato ancora al Battesimo di Gesù. A differenza dei Sinottici, il quarto vangelo non fa cronaca del suo svolgimento che sembra, tuttavia, dare per inteso, ma evidenzia la reazione del Battista rispetto ad esso. Ci troviamo in quella che è la settimana inaugurale della missione di Gesù che inizia proprio con l’attività battesimale di Giovanni. Nella puntualità tipica dell’evangelista viene precisato il luogo dove il Battista operava che risulta in una Betania “oltre il Giordano”, un’altra località rispetto alla città di Marta e Maria che, invece, restava sul monte degli Ulivi a una distanza di circa tre chilometri da Gerusalemme e che, in seguito, sarà lo scenario sia della resurrezione di Lazzaro (cf. 11,18), sia della cena a casa dello stesso con Marta che serve e Maria che consacra i piedi di Gesù con una lavanda di nardo pregiato e profumato (cf. 12,1ss). Ciò cui potrebbe alludere l’identità del nome di Betania è la testimonianza che in essa risuona dapprima da parte del Battista, più tardi da parte della casa di Lazzaro e delle sue sorelle. Dopo aver smentito l’ipotesi dei sacerdoti, dei leviti e dei farisei, che si erano recati da lui per interrogarlo proprio sulla sua possibile identità messianica, il Battista vede Gesù venire da lui: finalmente ora vede colui che prima non conosceva! Si capisce come, per chi scrive, sia più importante la parola di Giovanni rispetto al rito e la sua funzione profetica più di quella di un ministro di purificazione nell’acqua lustrale. La voce del Battista sostituisce la voce di Dio – che nei testi sinottici irrompe dal cielo rivelando la verità di Suo Figlio mentre viene battezzato – con le parole: “Ecco l’agnello di Dio… questi è il Figlio di Dio”. I toni sono squisitamente profetici ed evocano l’annuncio isaiano del Servo del Signore, come la Prima Lettura sta a suggerire: “Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno (…) e ha detto: “È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra”. Giovanni conferma l’avvento del Servo del Signore nella persona di Gesù riconoscendo in essa i tratti perfetti dell’antica profezia: è lui che riunirà dalla dispersione i figli di Giacobbe e ricondurrà i superstiti di Israele; è lui quella luce delle nazioni che porterà la salvezza all’intera umanità. Giovanni ha il ruolo essenziale d’essere il testimone della sua venuta, della sua presenza, dello Spirito che discende su di lui, come una colomba; egli è infatti, quell’agnello il cui corpo consegnato e speso per amore diventerà “sacrificio” di pace, carne di riconciliazione, braccia d’abbraccio tra le genti divise, colomba di rinascita alla Vita, dopo il diluvio della morte. Nel Battista la visione profetica si dissolve in primizia di parola d’annuncio, voce tessuta dell’esperienza dello Spirito. Un aspetto del battesimo di Gesù che vede come elemento essenziale gli occhi della terra, l’attesa della storia, il permanere delle promesse che Dio ha fatto a coloro che ama. Ed esalta l’importanza della testimonianza affinché le promesse si vedano compiute, il passato sia soglia d’avvenire, e gli occhi di chi veglia siano colmati di luce. La consegna che il Signore Risorto dà ai suoi discepoli prima di ascendere al cielo riguarda, non per nulla, la testimonianza: “Mi sarete testimoni a cominciare da Gerusalemme, la Giudea, la Samaria e fino ai confini della terra” (At 1,8). Una testimonianza possibile solo attraverso la perfetta comunione: “da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” come dice Gesù nel suo lungo discorso d’addio ancora nel Vangelo di Giovanni (13,35). È la testimonianza che è chiesta oggi a noi: non tanto di dimostrare come avvenne concretamente il Battesimo di Gesù quanto di esserne testimoni autentici nella fede e nell’Amore che ci rende una cosa sola tra di noi, con lui e con il Padre. Una concreta e indispensabile “immersione” nella comunione dove Gesù ritorna ad essere “battezzato” dagli occhi e dal cuore della terra.