“Vogliamo anzitutto ringraziare il Signore per il tempo che ci ha dato di vivere con tutte le gioie, i travagli ed anche i dolori. E nel contempo chiediamo anche perdono per tutto quello che avremmo potuto fare e che invece è rimasto inevaso tra le pagine del calendario trascorso”. Lo ha detto il vescovo di Terni-Narni-Amelia, mons. Francesco Antonio Soddu, nella cattedrale di Terni durante la solenne messa di ringraziamento di fine anno con il canto dell’antico inno del “Te Deum”. Il presule ha ricordato la situazione attuale con il conflitto in Ucraina e in altre parti del mondo e la morte di Papa Benedetto XVI, esprimendo il cordoglio della comunità ecclesiale diocesana.
“Papa Francesco ci invita con costante frequenza a considerare i luoghi in cui oggi si trova la carne viva del Signore, tra gli ultimi, gli scartati, i bisognosi. È lì, in questi luoghi, purtroppo sempre presenti nella loro drammaticità, potremmo trovare il segno grande della presenza del Signore. Nella misura in cui faremmo questo senza indugio, potremo anche scorgere la nascita del Signore Gesù sia nella nostra vita sia in quella di coloro che andremo a incontrare. Chiediamo pertanto perdono al Signore per tutte le volte in cui sia l’umanità intera, sia la locale società, come anche la nostra Chiesa, non siano state in grado di interpretare questi segni della presenza del Signore nei nostri fratelli”, ha affermato il vescovo.
Facendo riferimento al primo giorno dell’anno in cui si celebra la Giornata mondiale di preghiera per la pace, mons. Soddu ha evidenziato: “Mai come in questo tempo sentiamo il desiderio, il bisogno della pace; riecheggiano ogni giorno i vari appelli affinché, specialmente il conflitto in Ucraina vada a concludersi presto”. “Come sappiamo – ha aggiunto – la pace, prima ancora d’essere un desiderio a cui tutti, specialmente in questo periodo, siamo rivolti, è un dono di Dio. Sì, di Dio perché nessuno all’infuori di lui può donare la vera pace; tutti i tentativi da parte degli uomini, paradossalmente, sono stati il risultato di guerre e sopraffazioni. È un dono che Dio e come tale va accolto, custodito e costruito mediante l’apporto personale e di tutti”.
Cosa, dunque, ci è chiesto di fare? “Anzitutto, di lasciarci cambiare il cuore dall’emergenza che abbiamo vissuto, di permettere cioè che, attraverso questo momento storico, Dio trasformi i nostri criteri abituali di interpretazione del mondo e della realtà. Non possiamo più pensare solo a preservare lo spazio dei nostri interessi personali o nazionali, ma dobbiamo pensarci alla luce del bene comune, con un senso comunitario, ovvero come un ‘noi’ aperto alla fraternità universale. Non possiamo perseguire solo la protezione di noi stessi, ma è l’ora di impegnarci tutti per la guarigione della nostra società e del nostro pianeta, creando le basi per un mondo più giusto e pacifico, seriamente impegnato alla ricerca di un bene che sia davvero comune”.