“Benedetto XVI ha ridato slancio e speranza alla causa dell’unità, nello spirito del Vaticano II rilanciato dall’enciclica Ut unum sint di Giovanni Paolo II”. E’ mons. Piero Coda, segretario generale della Commissione Teologica Internazionale, a tracciare un profilo “ecumenico” del Papa emerito Benedetto XVI. In particolare, sottolinea Coda, si deve a Papa Benedetto e alla sua “guida ispirata e autorevole” la ripresa del dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa che “grazie a lui si è realizzata a partire dal 2005, dopo l’interruzione avvenuta per le incomprensioni intervenute a seguito della caduta dei muri nel 1989”. “Fu allora la fiducia che il mondo ortodosso nutriva nei confronti di Papa Benedetto”, prosegue Coda, “in quanto insigne teologo e sincero servitore della verità nella carità, a propiziare l’avvio decisivo del dialogo sul tema cruciale, nell’incontro tra cattolici e ortodossi, del rapporto tra primato e sinodalità”. Si tratta di un cammino tortuoso, che ha visto ostacoli e passi indietro. Sui passi da compiere, mons. Coda osserva: “Il passaggio delicato e interpellante, nel cammino verso la piena e visibile unità tra le Chiese, che siamo oggi chiamati a vivere è quello dal dialogo della carità al dialogo della verità: tenendo fermo che la verità si dà solo là dove la si cerca e la si accoglie nella carità”.
Grandissimo teologo, cosa caratterizzava il lavoro di Papa Benedetto per la piena comunione della Chiesa?
Due gli atteggiamenti, insieme spirituali e teologici, che hanno caratterizzato il suo impegno a servizio dell’unità. Innanzi tutto, il guardare e vivere le cose alla luce e a partire dal centro della rivelazione: e ciò in conformità al principio della “gerarchia della verità” stabilito nel Decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio del Vaticano II, secondo cui occorre valutare il significato e il valore della dottrina e della prassi tenendo conto del loro riferimento a ciò che è fondamentale e imprescindibile nella fede. Il secondo atteggiamento deriva dall’attenta considerazione di Papa Benedetto dello sviluppo concreto conosciuto dalla Tradizione ecclesiale, in cui è all’opera in molteplici forme lo Spirito Santo – come illustra la Dei Verbum al n. 8 –. Il che chiede un vigile discernimento per discriminare in spirito di comunione, tempo dopo tempo, ciò che è essenziale e ciò che è transitorio.
La sua fedeltà alla verità non impediva in qualche modo l’apertura al dialogo? Come coesistevano in lui dialogo e verità?
È proprio qui il punto d’equilibrio, difficile certo ma esso solo in definitiva veramente fecondo, di un autentico cammino verso la piena unità. Fedeltà alla verità e dialogo non sono in contraddizione per Benedetto XVI, ma si convalidano reciprocamente. Perché fedeltà alla verità non significa attaccamento a ciò che presumo di possedere come verità, ma fedeltà a quella verità che è sempre più grande e che mi sollecita ad essere aperto verso di essa e ad accoglierla. Papa Benedetto amava dire che la verità non la si possiede, ma è piuttosto la Verità – Gesù, il Lógos di Dio fatto carne – che ci possiede! Così che il dialogo non è l’esercizio neutrale per trovare un compromesso accomodante, né è indulgere al relativismo per cui ognuno possiederebbe la “sua” verità: ma è il luogo propizio in cui la verità si offre a noi nella reciproca apertura che viviamo insieme nei suoi confronti. “La verità – ha scritto Papa Benedetto nella Caritas in veritate – è logos che crea dia-logos e quindi comunicazione e comunione”.
Cosa rimane di lui nel mondo del dialogo in un momento come quello attuale che vive in uno stato di profonda crisi dove sembrano più forti i venti della separazione rispetto al soffio debole dello spirito di unità?
Mi ritornano alla mente le sue parole nella Lettera indirizzata ai Vescovi il 10 marzo 2009: “Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr. Gv 13,1) – in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più”. Parole ponderate e profetiche: solo nell’apertura al Dio “che è amore” (ecco il titolo alla sua prima grande enciclica) e che è “più grande del nostro cuore”, possiamo essere lievito di unità. Non è questo la Chiesa? come ci insegna la Lumen gentium: “il sacramento, e cioè il segno e lo strumento, in Cristo, dell’unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”.