Un “grazie” alla Chiesa italiana, “per aver riproposto con forza la figura di Giorgio La Pira, in ambito sociale, ecclesiale e politico, ispirandosi a lui anche per l’Incontro delle Chiese del Mediterraneo”. A pronunciarlo è stato il card. Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, nel suo intervento in Senato in occasione della presentazione del libro “Giorgio la Pira: i capitoli di una vita”, scritto da Giovanni Spinoso e Claudio Turrini e promosso dalla Fondazione La Pira. “Un protagonista disarmato della scena internazionale”: così Parolin ha definito lo statista fiorentino, la cui azione per la pace “non è separabile dalle lotte politiche e sociali come sindaco di Firenze”. Al centro della sua “sorprendente sintesi esistenziale”, ispirata dalla fede cristiana e all’insegna della “storiografia del profondo”, ha proseguito Parolin, c’è “la pace non come assenza di guerra, ma come dono di Dio, che deve essere accolto e coltivato dagli uomini e dalle donne, specialmente credenti”. Pace, dunque, come “dono di Dio e impegno per l’uomo”, ma anche come “ricerca di un senso che, nella pluralità delle visioni, possa accomunare tutti i responsabili delle nazioni e tutti coloro che hanno a cuore la pace”. In La Pira, ha fatto notare il cardinale, “la fede non è mai risultato in una dimensione puramente individuale: La Pira legge la storia come storia di salvezza, che genera la comunione tra gli uomini e l’unità del genere umano”. “Protagonista di non pochi passaggi della storia ecclesiale e politica del Novecento”, La Pira – ha concluso Parolin – è stato un profeta dello “ius contra bellum”, di cui oggi siamo chiamati a porre le condizioni “sviluppando norme e strumenti già esistenti nel diritto internazionale per risolvere pacificamente le controversie e scongiurare il ricordo alle armi”. Dialogo, trattative, mediazioni, in questa prospettiva, secondo il Segretario di Stato dovrebbero diventare “efficaci e vincolanti”, e ad essi andrebbe affiancato lo “ius post bellum”, “non solo come strumento per il riconoscimento di nuovi territori, ma come una precisa dimensione umana della pace, dando priorità al diritto più che alle armi”.