Un pallone di spine. È l’istantanea che ci fornisce “Il Grande Gioco”, la nuova serie di Sky diretta da Fabio Resinaro e Nico Marzano. Racconto in chiaroscuro sul mondo del pallone, tra calciomercato, procuratori, sponsor e faccendieri. Grazie a Sky abbiamo visto in anteprima gli episodi, disponibili dal 18 novembre (8 in tutto, in 4 settimane). Sulla piattaforma Disney+ arriva “Come per disincanto” di Adam Shankman, seguito della commedia musicale con Amy Adams e Patrick Dempsey: una colorata riflessione sulla ricerca della felicità. Infine, dalla 17ª Festa del Cinema è nelle sale la commedia sociale “Il principe di Roma” di Edoardo Falcone, con Marco Giallini: cammino di riscatto esistenziale giocato tra Charles Dickens e Luigi Magni. Il punto Cnvf-Sir.
“Il Grande Gioco” (su Sky e Now, dal 18.11)
“È vero che parla di calcio, ma è ancora più giusto dire che parla ‘attraverso’ il calcio. Questo sport è il vocabolario che decodifica l’evoluzione di un vero e proprio dramma familiare”. Così definiscono la serie “Il Grande Gioco” i due registi Fabio Resinaro e Nico Marzano, nuova produzione Sky Studios con Èliseo entertainment destinata al mercato italiano e internazionale. A ideare il soggetto è Alessandro Roja in collaborazione con Riccardo Grandi, protagonisti in primo piano sono Francesco Montanari (“Romanzo Criminale. La serie”, “Il cacciatore”), Elena Radonicich (“La porta rossa”, “Sopravvissuti”) e il veterano Giancarlo Giannini, cinque volte David di Donatello e con numerose incursioni a Hollywood (“Hannibal”, “Casino Royale”, “Catch-22”).
La storia. Milano, oggi. Corso Manni (F. Montanari) è un procuratore calcistico sospeso per l’accusa di scommesse truccate. Il suo matrimonio con Elena De Gregorio (E. Radonicich) è andato a rotoli, a causa anche di una certa ostilità del suocero Dino De Gregorio (G. Giannini), fondatore e Ceo della Isg, società che controlla molti campioni tra Serie A italiana e squadre europee. Quando si profila il cambio al vertice della Isg, forte anche di pressioni da parte della concorrente russa Plustar, nella famiglia De Gregorio si apre una faida. Sul tavolo serrate trattative per due giocatori: il campione argentino Carlos Quintana (Jesús Mosquera Bernal) e l’esordiente Antonio Lagioia (Giovanni Crozza Signoris).
La serie “Il Grande Gioco” ci mostra scena-retroscena del calciomercato, del gioco-industria che muove il nostro Paese, ma non solo. Il racconto è di certo serrato, vigoroso, più propenso a scandagliare fratture di un ambiente che corre veloce su cifre sbalorditive, dove però rispetto e valori sembrano non trovare posto. Non solo imprese e mercati, ma anche conflittualità familiari: “Parenti serpenti”, per citare Mario Monicelli. Sottili vendette degne di modelli narrativi contemporanei alla “Succession” (Hbo, Sky): alla Isg, in casa De Gregorio, si consuma una dramma shakespeariano fatto di ambizioni, invidie e rimossi. Il rapporto padre-figli, fratello-sorella, è avvelenato dall’ossessione per il potere e il denaro, che abbaglia e smobilita quella poca umanità che resta nel cuore. A ben vedere, non è quello che ci ha raccontato in questi anni, in chiave metaforica, “Il Trono di Spade”?
Le intuizioni narrative della serie “Il Grande Gioco” non sono male, anzi toccano nervi scoperti di una società, di un settore, che macina denaro e al contempo genera pericolosi deragliamenti. Non sempre il dosaggio degli elementi narrativi appare ben calibrato, tra calcio e spogliatoio, tra affari e famiglia, ma a salvare le sbavature sono un gruppo di attori di mestiere: in testa Giancarlo Giannini, sempre efficace, come pure le interpretazioni livide di Francesco Montanari e Elena Radonicich. Ottimi! Nell’insieme “Il Grande Gioco” è un racconto interessante, disincantato e persino feroce, che marcia spedito al di là di qualche stereotipo. Una buona proposta per un pubblico adulto. Complesso, problematico, per dibattiti.
“Come per disincanto” (su Disney+, dal 18.11)
Sono passati quindici anni da “Come d’incanto” (“Enchanted”, 2007), film targato Disney diretto da Kevin Lima. Una favola dall’umorismo brillante con protagonisti Amy Adams e Patrick Dempsey, nei panni di Giselle dal regno fantastico di Andalasia e di Robert, uomo d’affari di New York. Una storia d’amore a cavallo tra realtà e sogno. Li avevamo lasciati “happily ever after”, ovvero “per sempre felici e contenti”. La Disney, forte di un grande seguito del film, ha deciso di ritornare sul progetto riunendo il cast con qualche new entry, in primis l’irresistibile talento comico Maya Rudolph (nonché moglie del geniale Paul Thomas Anderson): è nato così “Come per disincanto” (“Disenchanted”) diretto da Adam Shankman (“Prima o poi mi sposo”, “Hairspray”), film sempre in tecnica mista e con una forte componente musical, dal 18 novembre su Disney+.
La storia. New York, oggi. Giselle e Robert sono ormai sposati da anni, con due figli, l’adolescente Morgan (Gabriella Baldacchino) e la neonata Sophia. Quando la grande metropoli inizia a farsi troppo asettica e dispersiva, i due decidono di trasferirsi a Monroeville, in provincia. Sulle prime, la realtà sembra accogliente, ma ben presto i malumori si palesano. Sconfortata Giselle esprime un desiderio: chiede di vivere nuovamente in un mondo incantato. Ma non tutto gira per il verso giusto…
Farà la gioia di piccoli e grandi. “Come per disincanto” punta a bissare il successo del titolo originario, valorizzando le performance espressive e canore di Amy Adams e Patrick Dempsey, come pure di spassosi comprimari quali James Marsden (principe Edward) e Idina Menzel (Nancy). Nell’insieme si tratta di un racconto a sfondo favolistico colorato e mieloso, puntellato da un’ironia brillante e da numeri musicali di ampio respiro – composti dal premio Oscar Alan Menken – che fanno il verso a titoli di richiamo della Disney, dal classico “Mary Poppins” (1964) al live-action “Beauty and the Beast (2017). Tra i temi in campo la famiglia e il dialogo al suo interno, la ricerca della felicità e il sogno di evasione, compresa una riflessione sul ruolo genitoriale, sulle madri (im)perfette. “Come per disincanto” ha una struttura semplice, godibile, segnata da qualche ingenuità o inciampo zuccheroso, ma nell’insieme è una proposta adatta per tutta la famiglia. Consigliabile, semplice.
“Il principe di Roma” (al cinema, dal 17.11)
Ne abbiamo parlato a fine ottobre, in occasione della 17a Festa del Cinema. Ora la commedia a sfondo storico-favolistico “Il principe di Roma” targata Lucky Red sbarca in sala. A firmare la storia è il regista-sceneggiatore Edoardo Falcone (“Se Dio vuole”, “Io sono Babbo Natale”), che non sbaglia un colpo. Il film si presenta da subito originale e riuscito, volteggiando su citazioni e atmosfere note al pubblico: anzitutto la linea narrativa richiama il plot del romanzo “Canto di Natale” di Charles Dickens, mentre le atmosfere i film ambientati nella “Roma papalina” come “Nell’anno del Signore”, “Il marchese del Grillo” e “Rugantino”.
La storia. Roma, 1829. Bartolomeo Proietti (Marco Giallini) è un uomo facoltoso di umili origini. Divenuto un ricco possidente, Meo è intenzionato a ottenere un titolo nobiliare sposando la figlia del principe Accoramboni (Sergio Rubini). Avaro, spregiudicato e apparentemente insensibile, Meo una notte viene assalito da tre visioni: Beatrice Cenci (Denise Tantucci), Giordano Bruno (Filippo Timi) e papa Alessandro VI (Giuseppe Battiston). Fantasmi o proiezioni della sua (sopita) coscienza?
“Il principe di Roma” è una commedia accattivante e riuscita, che unisce le direttrici della storia, della letteratura, con riferimenti alla cultura popolare romana. Forte di interpretazioni riuscite come quella di Marco Giallini – che omaggia Alberto Sordi, Nino Manfredi e Gigi Proietti –, ma anche di Giulia Bevilacqua, Filippo Timi e Giuseppe Battiston, la commedia viaggia spedita e godibile, tra realismo e suggestioni favolistiche. Un racconto-parabola di riscatto, il cammino di riflessione e cambiamento di un avaro-egocentrico che impara ad aprirsi all’altro, al mondo. Un film che racconta la salvezza, in chiave simpatica e brillante. Consigliabile, brillante, per dibattiti.