Dopo cinque giorni di sciopero a oltranza, iniziato contro la decisione del Governo di posticipare al 2024 il censimento generale, Santa Cruz de la Sierra, il centro più popoloso del Paese, è una città isolata del mondo. Ieri si sono verificati duri scontri tra diverse fazioni di cittadini, con lanci di pietre che hanno provocato il ferimento di 11 persone. Le scuole sono chiuse, e lunghe file di camion fermi (la città è il crocevia per i commerci e le comunicazioni con tutto il Paese) sono visibili nelle strade. Il Governo ha preso ieri la decisione di bloccare l’esportazione di prodotti alimentari di prima necessità (cereali e farine, zucchero, olio, carne), per far fronte a possibili carenze nel mercato interno. Dopo gli appelli arrivati dalla Conferenza episcopale nei giorni scorsi, ieri l’arcivescovo di Santa Cruz, mons. René Leigue Cesarí, ha diffuso un nuovo messaggio esprimendo la sua preoccupazione per “l’aumento della violenza che sta generando altre violenze”, sottolineando che la Chiesa cattolica deve stare dalla parte del suo popolo. Da qui, un forte appello alle autorità competenti, prescindendo dai loro interessi personali, perché venga instaurato “un dialogo sincero, per il bene del nostro popolo”. Conclude l’arcivescovo: “Invito il popolo ‘cruceño’ a non cadere nelle violente provocazioni che alcuni stanno generando, non vogliamo più dolore, ma cerchiamo piuttosto la pace per la Bolivia e soprattutto Santa Cruz”. La causa principale della protesta è la scelta del Governo di posticipare il censimento generale, previsto per quest’anno, al 2024, mentre l’opposizione civica chiede che esso abbia luogo nel 2023. In Bolivia, si prevede che il Censimento, come avviene in altre nazioni, consentirà di adeguare, definire, attuare e valutare piani, programmi, politiche pubbliche e strategie per uno sviluppo umano, economico e sociale sostenibile, ai vari livelli. Per esempio, potrebbero essere redistribuite le risorse in base ai cambiamenti demografici e di reddito.