“È importante imparare a leggere la tristezza. Tutti conosciamo cosa sia la tristezza, ma sappiamo leggerla, sappiamo capire cosa significa per me questa tristezza di oggi?”. Lo ha chiesto il Papa ai fedeli presenti in piazza San Pietro per l’udienza del mercoledì, dedicata al tema della desolazione. “Nel nostro tempo, essa è considerata per lo più negativamente, come un male da fuggire a tutti i costi, e invece può essere un indispensabile campanello di allarme per la vita, invitandoci a esplorare paesaggi più ricchi e fertili che la fugacità e l’evasione non consentono”, ha spiegato Francesco: “San Tommaso definisce la tristezza un dolore dell’anima: come i nervi per il corpo, essa ridesta l’attenzione di fronte a un possibile pericolo, o a un bene disatteso. Per questo, essa è indispensabile per la nostra salute, ci protegge perché non facciamo del male a noi stessi e ad altri”. “Sarebbe molto più grave e pericoloso non avvertire questo sentimento”, la tesi del Papa, che ha proseguito a braccio: “La tristezza a volte lavora come un semaforo: fermati! Sono triste? C’è qualcosa lì”. “Per chi invece ha il desiderio di compiere il bene, la tristezza è un ostacolo con il quale il tentatore vuole scoraggiarci”, ha detto il Papa: “In tal caso, si deve agire in maniera esattamente contraria a quanto suggerito, decisi a continuare quanto ci si era proposto di fare. Pensiamo al lavoro, allo studio, alla preghiera, a un impegno assunto: se li lasciassimo appena avvertiamo noia o tristezza, non concluderemmo mai nulla”. “È anche questa un’esperienza comune alla vita spirituale”, ha fatto notare Francesco: “La strada verso il bene, ricorda il Vangelo, è stretta e in salita, richiede un combattimento, un vincere sé stessi. Inizio a pregare, o mi dedico a un’opera buona e, stranamente, proprio allora mi vengono in mente cose da fare con urgenza”.