Vibrante accoglienza per “Argentina, 1985” di Mitre. In gara anche “Monica” di Pallaoro e “Athena” di Gavras

Applausi e commozione alla 79a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia: è il giorno di “Argentina, 1985”, legal drama storico di Santiago Mitre che affronta il difficile processo pubblico che portò alla condanna dei vertici militari durante la dittatura di Videla per le atrocità commesse. Ancora, in Concorso il secondo italiano Andrea Pallaoro con “Monica”, film che esplora una famiglia dispersa in cerca di nuovo dialogo. Infine, il francese “Athena” di Romain Gavras, un thriller sociale di grande realismo che si snoda nelle periferie d’oggi, nei quartieri-ghetto pronti a deflagrare in rivolte. Il punto Cnvf-Sir dalla Mostra.

(Credits_La_Biennale_di_Venezia_-_Foto_ASAC__ph_Giorgio_Zucchiatti)

Applausi e commozione alla 79a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia: è il giorno di “Argentina, 1985”, legal drama storico di Santiago Mitre che affronta il difficile processo pubblico che portò alla condanna dei vertici militari durante la dittatura di Videla per le atrocità commesse; un processo che sancì di fatto l’inizio della democrazia in Argentina. Da segnalare un intenso Ricardo Darín, da Coppa Volpi. Ancora, in Concorso il secondo italiano Andrea Pallaoro con “Monica”, film che esplora una famiglia dispersa in cerca di nuovo dialogo. Infine, il francese “Athena” di Romain Gavras, un thriller sociale di grande realismo che si snoda nelle periferie d’oggi, nei quartieri-ghetto pronti a deflagrare in rivolte. Il punto Cnvf-Sir dalla Mostra.

“Argentina, 1985” – in Concorso
Accolto da fragorosi applausi in sala e in conferenza stampa tra gli addetti ai lavori, “Argentina, 1985” di Santiago Mitre conquista subito il Lido, candidandosi seriamente per il palmares di Venezia79. Sarà probabilmente l’argomento di grande impegno civile a colpire: il processo pubblico ai vertici militari in Argentina nella metà degli anni ’80, che ha fatto luce sul dramma dei desaparecidos durante la dittatura. Un racconto di matrice storica, che mette a tema il valore della memoria e della testimonianza civile.

La storia. Tra la fine del 1984 e l’inizio del 1985 a Buenos Aires parte il processo contro i crimini compiuti sotto la reggenza del generale Jorge Rafael Videla, con la messa in stato d’accusa dell’ex dittatore e dei vertici delle forze armate. A guidare l’accusa in tribunale il procuratore Julio Strassera (Ricardo Darín) e il suo vice Luis Moreno Ocampo (Peter Lanzani), che si avvalgono di un team di giovani professionisti che non si lasciano intimidire dall’entità del lavoro e dalle continue minacce.

(Kenya_Films_-_Infinity_Hill_-_Ph_Lina_Etchesuri)

Scritto dallo stesso Mitre insieme Mariano Llinás, “Argentina, 1985” è un film che ha il coraggio di esplorare il trauma sociale della dittatura in Argentina, le ripetute atrocità commesse dai militari. È il dramma dei desaparecidos, una frattura mai del tutto ricomposta e sanata nel Paese. Come sottolinea l’autore: “Ricordo ancora il giorno in cui Strassera formulò l’atto di accusa: il boato dell’aula del tribunale, l’emozione dei miei genitori, le strade finalmente in grado di festeggiare qualcosa che non fosse una partita di calcio, l’idea di giustizia come un atto di guarigione”.

Correndo sul binario di un incalzante legal drama di matrice hollywoodiana, puntellato però anche da un’insolita (ma riuscita) cifra ironica, il film di Mitre tratteggia con meticolosità e crescente pathos un avvenimento storico del proprio Paese, che di fatto ne sancisce la svolta democratica. Copione e regia traggono ulteriore compattezza ed efficacia dall’interpretazione del cast, tutto perfettamente in parte, a cominciare dal capofila Ricardo Darín, che sagoma con mestiere e classe il procuratore Strassera. “Argentina, 1985” è un’opera attesa, doverosa e importante, la cui vocazione è la custodia della memoria e la condivisione di un messaggio di futuro. Un film corroborante. Raccomandabile, problematico, adatto per dibattiti.

“Monica” – in Concorso
A cinque anni da “Hannah” (2017), che ha permesso a Charlotte Rampling di vincere la Coppa Volpi a Venezia74, il regista trentino Andrea Pallaoro, classe 1982, si presenta nuovamente in gara al Lido con una storia dal respiro a stelle e strisce – come Guadagnino anche Pallaoro è “sbilanciato” Oltreoceano, verso l’industria hollywoodiana – intimista e familiare, che vira da note di sofferenza a bagliori di tenerezza e pacificazione.

La storia. Stati Uniti, oggi. Quando la madre sessantenne (Patricia Clarkson) si aggrava per un tumore, la trentenne Monica (Trace Lysette) decide di tornare a casa, in famiglia, dopo anni di lontananza. Era stata costretta a prendere le distanze dai propri cari, soprattutto dalla madre, quando giovanissima aveva espresso la volontà di cambiare identità, passando da uomo a donna. Dinanzi alla chiamata del fratello e della cognata, Monica accetta di accompagnare la madre nell’ultimo tratto di vita che le resta….

Con estrema delicatezza e compostezza il regista Pallaoro ci consegna il ritratto di una famiglia americana dispersa che cerca di ricomporsi, di ritrovarsi, sulle macerie di un evento drammatico. Un tumore maligno. Nonostante i temi in campo siano non poco densi e spinosi, il film “Monica” si snoda con grande agilità e rispetto, componendo una storia d’amore giocata sul rapporto madre-figlia e fratello-sorella. Un racconto di pacificazione, teso a ricomporre silenzi e fratture sedimentati nel tempo. La famiglia tiene, e salva, perché risponde a fragilità e difficoltà dell’esistenza. Complesso, problematico, per dibattiti.

“Athena” – in Concorso
Il quarantenne Romain Gavras, figlio del noto Costa-Gavras, arriva in Concorso a Venezia79 con “Athena”, una produzione targata Netflix: si tratta di un racconto sociale potente e incalzante che esplora la precarietà della periferia francese, occidentale tutta, un luogo dove vive un’umanità scartata, pronta a sollevarsi per esasperazione. Un film che assume i contorni di un pericoloso deragliamento del nostro presente, proprio come aveva tratteggiato il messicano Michel Franco in “Nuevo Orden”, in gara al Lido nel 2020.

La storia. Francia oggi, alla morte di un minore nel caseggiato-ghetto Athena, un’uccisione la cui responsabilità viene addossata alla Polizia, esplode nella comunità abitativa una violenta protesta. A tentare di contenere la rivolta è il trentenne Abdel (Dali Benssalah), che oltre a lavorare tra le fila della Polizia è anche il fratello della vittima. Sull’onda di una povertà che morde il fianco e di un’integrazione culturale mai del tutto raggiunta, la situazione di Athena vira verso la tragedia. Irreparabilmente…

(Credits Netflix)

Scritto da Romain Gavras, Ladj Ly (suo è “Les Misérables” del 2019) e Elias Belkeddar, il film “Athena” fa convergere i riferimenti culturali della tragedia greca con le brucianti fratture del nostro presente, scandagliando quelle periferie abbandonate a se stesse dove non c’è traccia né di Stato né di futuro. A colpire è soprattutto la regia di Gavras, potente e vigorosa, che giova di una freschezza visiva tipica dei formati brevi, dei videoclip. A ben vedere forse non tutto torna del film, appesantito da qualche furbizia narrativa qua e là, ma nell’insieme l’opera dimostra ritmo e incisività nonché riverberi sociali di indubbio interesse. Complesso, problematico, per dibattiti.

La nota critica di Massimo Giraldi, presidente Cnvf – Giuria Signis
“Tre registi quarantenni, classe 1980-82, danno una forte scossa al Lido, mettendo in campo tonalità e stili differenti. Anzitutto l’argentino Santiago Mitre si muove su un canovaccio narrativo consolidato, il legal drama, dando voce per la prima volta a un avvenimento che ha cambiato il corso della storia argentina in chiave democratica. Un film riuscito, compatto, in grado di confrontarsi con le ferite della Storia attraverso uno sguardo impreziosito da umorismo. Andrea Pallaoro con ‘Monica’ regala un personaggio che lascia il segno per la sua misura e delicatezza, andando a sanare anche qui ferite, quelle di una famiglia. Infine, sono fratture invece senza rimedio quelle che racconta il francese Romain Gavras in un dramma sociale disperante; una narrazione che si ciba del linguaggio della contemporaneità, nervoso e concitato. Tre autori che lasciano il segno!”.

Altri articoli in Italia

Italia