“Seguiamo Gesù in Galilea e Giudea per conoscerlo meglio e scoprire le radici della nostra fede”. È il tema scelto per il pellegrinaggio in Terra Santa dal 21 al 28 luglio guidato dal card. Edoardo Menichelli. Programmato due anni fa, il pellegrinaggio era stato rimandato a causa della pandemia. A Gerusalemme, tappa finale del pellegrinaggio, il gruppo – circa 25 persone – ha visitato i principali luoghi santi: dalle cappelle del Monte degli Ulivi, al Cenacolo, passando per la Via Dolorosa e il Santo Sepolcro. “Il pellegrinaggio è sempre un’icona della vita – ha detto il cardinale – e come tale l’ho vissuto. Questo pellegrinaggio terreno sta per terminare. Ho guardato all’altro pellegrinaggio che il buon Dio farà fare a tutti. In ogni luogo c’è una cosa da chiedere a Dio e c’è qualcosa da dare a Dio”. Per alcuni pellegrini era la prima volta in Terra Santa; il cardinale invece è venuto in questi luoghi una ventina di volte. “Ogni pellegrinaggio rivela qualcosa”, non qualcosa di archeologico, storico o geografico, ma “qualcosa che sta dentro questi luoghi”. Come l’ingresso al Santo Sepolcro, che il cardinale ha vissuto con lo stupore della prima volta: “Ho provato la stessa meraviglia che ebbi nel ‘78-’79 quando venni qui per la prima volta e celebrai alle 6 del mattino. Questo stupore, che ti riempie di meraviglia e ti fa inginocchiare”. Il gruppo è partito dalla Galilea e ha fatto un percorso in diverse tappe: Nazareth, Cana, il Monte Tabor, i santuari del Lago di Galilea, Gerico e il sito del Battesimo di Gesù al Giordano, Betlemme e Gerusalemme. A questo proposito, il cardinale rilancia l’importanza del pellegrinaggio in Terra Santa: “Un discepolo di Gesù, un cristiano, non può vivere la fede senza essere mai andato in Terra Santa. I sacerdoti lo annuncino e lo vivano e i pastori se ne facciano promotori”. Perché “se la fede è un atto di amore, bisogna andare a vedere dove questo amore è stato, come ha vissuto”.