“La colonizzazione non si ferma, piuttosto in alcune zone si trasforma, si maschera e si nasconde”. A lanciare il grido d’allarme è stato il Papa, nel suo primo discorso in Québec, pronunciato ieri – terza giornata del viaggio in Canada – durante l’incontro con le autorità civili, i rappresentanti delle popolazioni indigene e il Corpo diplomatico. “È il caso delle colonizzazioni ideologiche”, spiega Francesco, che anche nella parte francofona del Paese, incantato dalle sue bellezze naturali, rinnova la sua
“richiesta di perdono per il male commesso da tanti cristiani contro le popolazioni indigene”
che ha contraddistinto il suo 37° viaggio apostolico fin dal suo esordio. “Se un tempo la mentalità colonialista trascurò la vita concreta della gente, imponendo modelli culturali prestabiliti, anche oggi non mancano colonizzazioni ideologiche che contrastano la realtà dell’esistenza, soffocano il naturale attaccamento ai valori dei popoli, tentando di sradicarne le tradizioni, la storia e i legami religiosi”, l’analisi di Francesco. “È una mentalità che, presumendo di aver superato le pagine buie della storia, fa spazio a quella ‘cancel culture’ che valuta il passato solo in base a certe categorie attuali”, argomenta il Papa: “Così si impianta una moda culturale che uniforma, rende tutto uguale, non tollera differenze e si concentra solo sul momento presente, sui bisogni e sui diritti degli individui, trascurando spesso i doveri nei riguardi dei più deboli e fragili: poveri, migranti, anziani, ammalati, nascituri”.
“C’è tanto da imparare dalla capacità di porsi in ascolto di Dio, delle persone e della natura”,
l’omaggio di Francesco alle popolazioni indigene, a partire dal simbolo per eccellenza del Canada: la foglia d’acero, simbolo della “laboriosità” delle popolazioni indigene, “sempre attenta a salvaguardare la terra e l’ambiente, fedele a una visione armoniosa del creato”. “Ne abbiamo bisogno – incalza il Papa – specialmente nella vorticosa frenesia del mondo odierno, caratterizzato da una costante ‘rapidizzazione’, che rende arduo uno sviluppo realmente umano, sostenibile e integrale, finendo per generare una ‘società della stanchezza e della disillusione’, che fatica a ritrovare il gusto della contemplazione, il sapore genuino delle relazioni, la mistica dell’insieme”. “Quanto bisogno abbiamo di ascoltarci e di dialogare, per allontanarci dall’individualismo imperante, dai giudizi affrettati, dall’aggressività dilagante, dalla tentazione di dividere il mondo in buoni e cattivi!”, esclama Francesco, secondo il quale i valori presenti nelle culture indigene “sono di ispirazione a tutti noi e possono contribuire a risanare le nocive abitudini di sfruttare. Sfruttare, oltre al creato, anche le relazioni e il tempo, e di regolare l’attività umana solo in base all’utile e al profitto”. “Questi insegnamenti vitali, tuttavia, sono stati violentemente avversati in passato”, ribadisce il Papa tornando sul “mea culpa” centrale del suo viaggio, riferito alla complicità delle istituzioni cattoliche nelle “politiche di assimilazione e di affrancamento, comprendenti anche il sistema scolastico residenziale, che ha danneggiato molte famiglie indigene, minandone la lingua, la cultura e la visione del mondo”.
“Promuovere i legittimi diritti delle popolazioni native e favorire processi di guarigione e di riconciliazione tra loro e i non indigeni del Paese”,
l’indicazione di rotta per “costruire un Paese migliore”, partendo proprio dalla capacità di ammettere le proprio colpe. “Le popolazioni indigene hanno tanto da insegnarci sulla custodia e la tutela della famiglia, dove già da bambini si impara a riconoscere che cosa è giusto e che cosa sbagliato, a dire la verità, a condividere, a correggere i torti, a ricominciare, a rincuorarsi, a riconciliarsi”, l’altro omaggio di Francesco: “Il male sofferto dai popoli indigeni ci serva oggi da monito, affinché la cura e i diritti della famiglia non vengano messi da parte in nome di eventuali esigenze produttive e interessi individuali”. Poi il riferimento all’oggi:
“Di fonte all’insensata follia della guerra, abbiamo nuovamente bisogno di lenire gli estremismi della contrapposizione e di curare le ferite dell’odio”. “Non abbiamo bisogno di dividere il mondo in amici e nemici, di prendere le distanze e riarmarci fino ai denti: non saranno la corsa agli armamenti e le strategie di deterrenza a portare pace e sicurezza”, il monito: “Non c’è bisogno di chiedersi come proseguire le guerre, ma come fermarle. E di impedire che i popoli siano tenuti nuovamente in ostaggio dalla morsa di spaventose guerre fredde che ancora si allargano. C’è bisogno di politiche creative e lungimiranti, che sappiano uscire dagli schemi delle parti per dare risposte alle sfide globali”,
come la pace, i cambiamenti climatici, gli effetti pandemici e le migrazioni internazionali. Per vincerle, occorre “saper guardare, come la sapienza indigena insegna, alle sette generazioni future, non alle convenienze immediate, alle scadenze elettorali, al sostegno delle lobby”, perché i giovani “meritano un futuro migliore di quello che stiamo loro preparando. Di qui l’apprezzamento per la “vocazione ecologica” del Canada e per “una parola fondamentale per i canadesi: multiculturalismo”. Ad un Paese generoso nell’ospitare numerosi migranti ucraini e afghani, il Papa chiede inoltre di “lavorare per superare la retorica della paura nei confronti degli immigrati”. Anche in un Paese tanto sviluppato e progredito come il Canada, “non sono pochi i senzatetto che si affidano alle chiese e ai banchi alimentari per ricevere aiuti e conforti essenziali”, denuncia il Papa, secondo il quale “è triste che proprio tra i nativi si registrino spesso molti tassi di povertà”.