È il primo cardinale nella storia del Paraguay. Mons. Adalberto Martínez Flores, settantunenne originario di Asunción, da qualche mese è arcivescovo della capitale, oltre che presidente della Conferenza episcopale (al secondo mandato). Diventato sacerdote a 34 anni, in gioventù ha studiato Economia nel suo Paese e a Washington, prima di compiere gli studi teologici e filosofici alla Pontificia Università lateranense. Dopo essere stato ordinato sacerdote, ha prestato servizio per nove anni in mezzo ai Caraibi, nelle isole Vergini statunitensi. Nel 1997 è stato ordinato vescovo, divenendo ausiliare di Asunción. Sono seguite le nomine a vescovo di San Lorenzo, San Pedro, Villarica, e, appunto, Asunción, nel febbraio scorso; in mezzo anche un periodo da vescovo militare. Un profilo di tutto rispetto, insomma, e una ricca esperienza, vissuta con la semplicità e la cordialità tipiche della Chiesa paraguagia: “povera” di mezzi, ma ricca di fede, incarnata nelle vicende di un popolo che ha dovuto affrontare e affronta molte traversie, in un contesto di corruzione e squilibri sociali. Un esempio di quelle “periferie” che Papa Francesco vuole, invece, al centro della Chiesa. Il Sir lo ha intervistato, in vista del Concistoro del 27 agosto.
Come ha accolto la nomina cardinalizia fatta dal Santo Padre?
Quando il Santo Padre ha annunciato che il mio nome sarebbe stato nell’elenco di chi veniva creato cardinale, per me è stata una sorpresa, ho ritenuto che fosse un riconoscimento immeritato. Ma sono sempre stato aperto alla missione che la Chiesa mi affida per volontà del successore di Pietro. Per questo, ho sempre detto sì quando il Papa mi ha chiesto di assumere il compito pastorale di una diocesi. Asunción è stata la quinta diocesi in cui sono stato chiamato dal Santo Padre a essere pastore. Essere tenuto in conto da Papa Francesco per integrare il collegio cardinalizio e, quindi, essere chiamato a una più stretta collaborazione con lui nel governo della Chiesa universale, è una grande responsabilità. A chi molto è dato, molto sarà richiesto, dice il Signore.
È il primo cardinale della Chiesa del Paraguay. Che significato ha questo evento per tutta la Chiesa e per tutto il Paese?
In realtà, si può capire che la volontà di Papa Francesco riflette un riconoscimento della Chiesa in Paraguay, della sua tradizione cattolica, della fede profonda del suo popolo semplice. I cardinali sono consiglieri del Papa e dei suoi collaboratori, sia nelle loro giurisdizioni ecclesiastiche, sia nei compiti che il Santo Padre affida loro nel governo della Chiesa, in alcuni suoi Dicasteri o Commissioni e Servizi della Santa Sede. Quando saremo chiamati o consultati, il nostro contributo avrà senza dubbio l’impronta della vita della Chiesa in Paraguay, così come dei bisogni del nostro Paese, che devono essere illuminati dal Vangelo e dalla Dottrina sociale della Chiesa. Essere cardinale della Chiesa cattolica, che esprime la fiducia del Santo Padre verso di me, è una responsabilità che metteremo al servizio della comunione nella Chiesa e del dialogo per la pace sociale, nell’ambito della vita nazionale.
Il Papa sottolinea l’importanza delle periferie. Cosa può offrire la sua Chiesa, dalla periferia, alla Chiesa universale?
Quando il card. Jorge Mario Bergoglio fu eletto dal Conclave come successore di Pietro, nel suo saluto iniziale disse che era stato eletto un vescovo che veniva dalle periferie del mondo. L’America Latina e i Caraibi, in generale, sono alla periferia, non fanno parte dei poteri economici e politici del contesto mondiale. Se è così, il Paraguay, piccolissimo Paese, con una popolazione decimata da due grandi guerre, con un’economia anche molto piccola, è ancora più marginale. Tuttavia, ha molto da contribuire alla Chiesa universale: la sua fede semplice ma profonda, espressa nella sua religiosità popolare; la sua devozione alla Vergine Maria, che mobilita l’intero Paese; i propri valori culturali: ospitalità, solidarietà, valore, coraggio, resilienza.
E, in particolare, come viene seguito il cammino sinodale nel Paese?
Il 25 giugno ci siamo incontrati per la fase nazionale del Sinodo, con la presenza di rappresentanti di tutte le giurisdizioni ecclesiastiche del Paraguay: 12 diocesi, 2 vicariati apostolici, il vescovado delle Forze armate e della Polizia Nazionale. La Chiesa in Paraguay ha la ferma convinzione e lo scopo di convertire questa opportunità che papa Francesco ci offre per rafforzare il modello di Chiesa che propone la sinodalità; camminare sempre insieme in un’ecclesiologia secondo gli orientamenti del Concilio Vaticano II e del magistero della Chiesa in America Latina e nei Caraibi. Vediamo e sosteniamo fortemente lo sforzo del Santo Padre per approfondire e assumere le linee guida dei Padri conciliari, che in America Latina hanno trovato una buona armonia, riflessa nelle Conferenze generali dell’Episcopato latinoamericano e caraibico nel postconcilio: Medellín, Puebla, Santo Domingo e Aparecida.
Quali sono le speranze per il futuro del Paraguay, in particolare per i prossimi mesi, nel quadro di una delicata campagna elettorale?
La vita nazionale, a pochi mesi dalle elezioni primarie per definire i candidati alle principali cariche politiche del Governo, coincide, da un lato, con un momento in cui si vede che la criminalità organizzata ha permeato e corrotto buona parte della sfera sociale, politica, economica e anche religiosa del nostro Paese. Dall’altro lato, si profilano all’orizzonte nubi oscure di instabilità politica e sociale, a causa delle disuguaglianze strutturali e del grave deterioramento delle condizioni di vita dei settori più vulnerabili e della stessa classe media. Ciò avviene anche per la mancanza di politiche pubbliche per il bene comune, in parte per corruzione e impunità e, in parte, per i fattori climatici, che hanno prodotto una prolungata siccità e che avranno gravi ripercussioni sociali ed economiche nel breve e medio termine. Se non si adottano efficaci programmi di protezione sociale, i livelli di povertà estrema aumenteranno e potrebbe esserci un problema di fame, soprattutto tra i più poveri, nelle campagne e nelle città. Il problema del possesso e della proprietà della terra e la situazione delle comunità indigene e contadine minacciate di sfratto richiedono, poi, un dialogo intersettoriale e interistituzionale immediato, per trovare soluzioni pacifiche. Non ci sarà pace senza dialogo e accordo nel quadro della giustizia sociale, come insegna la Dottrina Sociale della Chiesa.
Quali speranze, dunque, per il futuro del suo Paese?
Il Paraguay ha urgente bisogno di segni di speranza da parte di chi, come anche noi, ha responsabilità nei confronti della società. La Chiesa cattolica non può deludere la grande fiducia che i cittadini ripongono in essa. La Dottrina sociale della Chiesa è un tesoro che mettiamo a disposizione di coloro che hanno responsabilità e leadership nel Paese, e per tutte le persone di buona volontà, come contributo alla guarigione morale della nazione, a operare per il bene comune, e come servizio allo sviluppo integrale delle persone. Il Paraguay ha bisogno di tutti noi, nessuno dovrebbe essere escluso dalla missione di recuperare i valori sociali e le virtù che ci permetteranno di realizzare la patria dei sogni. Il contributo della Chiesa in questo processo sarà importante.
*giornalista de “La vita del popolo”