“La Madonna del Carmelo insegna ad ognuno di noi che, per arrivare alla grandezza dell’umanità, cioè per esprimere pienamente l’umanità della quale il Signore ci ha fatto dono sin dall’inizio facendoci a sua immagine e somiglianza, per arrivare alla grandezza dell’espressione della nostra umanità più vera e più bella, dobbiamo scendere nella nostra piccolezza, nella nostra fragilità, nel nostro limite e lì scoprire che il Signore”, “attraverso il nostro limite”, “realizza la sua opera di amore e di salvezza”. Lo ha detto il vescovo di Lamezia Terme, mons. Serafino Parisi, nella messa officiata nel corso della novena in preparazione alla festa della Madonna del Carmine.
Maria “ha accolto nella propria vita l’annuncio della novità più grande di tutta la storia che, cioè, Dio da lei, tramite lei, grazie a lei, voleva prendere la carne dell’umanità, la carne nostra. Allora, cosa fa il Signore? Scende – ha osservato il vescovo -, percorre la strada in discesa dell’umanità ed entra direttamente nella nostra storia chiedendo a Maria di essere la serva del Signore. Allora, che cosa fa l’umanità? Grazie a Maria si ritrova sollevata sul monte, si ritrova posta in alto. Sì, l’umanità perché viene totalmente assunta dal Verbo e viene posta in alto proprio come era stato per Maria, la serva umile che, però, dentro la sua umiltà, era scesa fino al punto più basso dell’umanità. Così come aveva fatto il Figlio, ce lo ricorda San Paolo nelle sue lettere, scende nel punto più basso e grazie a questa sua umiltà a questa sua discesa nella profondità dell’umanità, porta l’uomo nel punto più alto, lo innalza. Questa è la logica di Dio. Questa è la logica di Maria e questa è anche la logica del servizio che viene chiesto ad ognuno di noi”.
Mons. Parisi ha poi sottolineato che “Dio, di fronte al fallimento dell’umanità, di fronte alla fatica dell’umanità, una fatica improduttiva, inefficace, di fronte al dolore del parto che, però, lascia nello sconcerto perché alla fine non esce nulla di nuovo nella storia”, “è qui proprio per affrontare i nostri drammi, i nostri fallimenti, è qui per affrontare insieme con noi i nostri insuccessi”. Il Signore, infatti, “non condanna l’uomo per il fallimento, non lo opprime per la sua inconsistenza, per l’insignificanza della sua opera” ma “gli dice: rimettiti ancora alla mia sequela, vieni ancora dietro di me. E lo dice con un’immagine che viene recuperata dagli antichi profeti: il giogo” che, però, “non è più il giogo dell’oppressione, il giogo della schiavitù, cioè di coloro che ti mettevano il cappio al collo, per intenderci, e trascinarti da una parte all’altra”, ma è quello strumento che “con la fatica dei buoi ma anche con la fatica del contadino riusciva ad incidere un solco nella terra, a smuovere la terra perché venisse preparata ad accogliere il seme per dare vita nuova”.
Il giogo, quindi, altro non è che “questa premura di Dio – ha concluso mons. Parisi – che ti conduce dentro la storia perché la tua opera non sia vento insignificante, ma perché l’opera dell’uomo sia, invece, forza capace di dare novità alla terra smuovendo le zolle, smuovendo il terreno”.