Siccità. Sottani: “La situazione di oggi era stata prevista. Purtroppo però manca una visione di insieme”

Chi osserva quotidianamente le falde acquifere sotterranee non ha dubbi: l'attuale siccità era prevedibile. Anzi, più ancora: muovendosi per tempo si poteva fare qualcosa per renderla meno dannosa. Ne è convinto il direttore di Sinergeo, società con sede a Vicenza che da oltre trent’anni è impegnata in progetti professionali e di ricerca della risorsa idrica presente nel sottosuolo

(Foto: ANSA/Sir)

Forse la sfera di cristallo per prevedere la crisi idrica non l’aveva nessuno, ma potevamo contare su qualcosa di meglio: le falde acquifere sotterranee. E chi le osserva quotidianamente non ha dubbi: questa siccità era prevedibile. Anzi, più ancora: muovendosi per tempo si poteva fare qualcosa per renderla meno dannosa.

Ne è convinto Andrea Sottani, idrogeologo e direttore di Sinergeo, società con sede a Vicenza che da oltre trent’anni è impegnata in progetti professionali e di ricerca della risorsa idrica presente nel sottosuolo. Sinergeo vanta circa quattrocento stazioni di monitoraggio collocate anche lungo la fascia delle risorgive della pianura veneta. Si tratta di sensori automatici che consentono una raccolta di dati quotidiana sulla situazione delle falde e delle risorgive, “le ‘spie’ più visibili dei fenomeni di scarsità idrica”, come le definisce Sottani, che forniscono un dato incontrovertibile: “I meccanismi di ricarica naturale delle falde sono sempre più inibiti. Assistiamo ad una continua diminuzione di ingressi e ad aumento dei prelievi d’acqua”.

Uno tra i casi più emblematici è quello del pozzo che si trova nella sede del Consorzio di bonifica Brenta, a Cittadella, costantemente osservato da oltre 60 anni. “Sono due i fenomeni da evidenziare – spiega Sottani -: il primo è la continua diminuzione della quota di falda, che dai 43 metri sul livello del mare del 1956 è passata a 38 nel 2022. Il secondo fenomeno è l’oscillazione del livello: se tra il 1956 e il 1964 il livello si poneva tra un minimo di 42 metri slm e un massimo di 43, negli ultimi 10 anni il livello varia da un massimo di 43 metri slm e un minimo di 38,5”.

Questi andamenti si traducono in accadimenti estremi e di segno opposto: fenomeni siccitosi come quello a cui stiamo assistendo e, al contrario, improvvisi eccessi d’acqua che provocano alluvioni e situazioni di rischio idrogeologico come quelle che siamo abituati a vedere in autunno e inverno.

Ma perché le falde non si ricaricano? “I motivi sono diversi, complessi e richiedono una competenza multidisciplinare per descriverli e, soprattutto, cercare di affrontarli, tenendo presente che a livello di territori le situazioni sono diverse e che più allarghiamo la scala di osservazione e più incide il fenomeno del surriscaldamento globale”. Il primo motivo e più immediato da comprendere è la scarsa piovosità. Arpav, lo scorso aprile, segnalava che il mese di marzo 2022 è stato il meno piovoso degli ultimi 28 anni. Non solo, sulle montagne vicentine, rispetto alla media 2009-2021, sono caduti 160 centimetri di neve in meno, quasi la metà. “In alcune zone del vicentino – riprende Sottani – se decenni addietro eravamo abituati a veder cadere 1.800 millimetri di pioggia in 100 giorni piovosi, oggi ne vediamo 1.300 millimetri distribuiti in un numero di giorni assai inferiore. Si tratta di bombe d’acqua a volte ingestibili, che defluiscono velocemente sulla superficie del suolo e non ricaricano la falda”. E qui arriviamo ad un’altra causa della mancata ricarica: il consumo di suolo. “La cementificazione del territorio dal 1950 ad oggi è in continuo aumento – spiega Sottani -. Secondo i dati del Sistema nazionale di protezione ambientale (Snpa), in provincia di Vicenza siamo passati da 142 metri quadrati per abitante di 70 anni fa ai 421 del 2019. E l’aumento non si arresta, rendendo i terreni, di fatto impermeabili”.

Infine, ci sono i prelievi. “Acquedotti, pozzi per l’irrigazione, attività industriali: prelevano tutti acqua dalle falde”, spiega Sottani. E in particolare per il consumo di acqua potabile, in un rapporto del 2015 (il più recente), l’Istat segnalava che in Italia vengono prelevati 428 litri giornalieri per abitante, pari a 156 metri cubi annui pro capite (siamo il Paese con il prelievo maggiore tra i 28 dell’Ue, seguiti dall’Irlanda, con 135 metri cubi pro capite, e dalla Grecia con 131).

Vi sono poi forme “naturali” di uscite dalle falde, ovvero le risorgive e l’evapotraspirazione, “fenomeno che si lega all’aumento delle temperature. Più aumenta il calore e più l’acqua evapora. A questo proposito, va seguito con attenzione l’andamento termico delle acque di falda. Iniziamo a vedere scostamenti dell’ordine di mezzo grado centigrado, ma dipende dalle zone”.

C’è infine l’inquinamento, “che non è un prelievo in senso stretto ma riduce, anche per decenni, la disponibilità della risorsa idrica”, spiega l’idrogeologo.

Ora come ora, altro non si può fare che aspettare e vedere che succede, sperando che piova adeguatamente. Ma non è che manchino le soluzioni al problema della ricarica. “Esistono diversi sistemi, dai più semplici ai più complessi, adattabili a seconda delle situazioni del territorio – spiega Sottani -. Circa dieci anni fa, con iniziative di ricerca e progetti come Aquor, avevamo iniziato a realizzare alcuni siti pilota di ricarica anche nel vicentino, contribuendo a reimmettere in falda circa 3 milioni di metri cubi di acqua in un anno e mezzo. Poi il progetto è finito nel dimenticatoio.

Purtroppo la falda è una risorsa invisibile, e su ciò che non si vede è forse difficile creare consenso.

La situazione di oggi era stata prevista. Purtroppo però manca una visione di insieme e una regia competente, e come spesso avviene in Italia, l’emergenza sostituisce la prevenzione costringendoci a pagare lo scotto di una serie di disattenzioni strutturali”.

(precedentemente pubblicato su “La Voce dei Berici“)

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