“Mi pare evidente che, tra i diversi aspetti sui quali occorre operare un discernimento ecclesiale e compiere delle scelte concrete, ce n’è uno che è assolutamente prioritario. Si tratta del ripensamento della presenza ecclesiale sul territorio”. Parte da questa considerazione la riflessione che l’arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, mons. Roberto Repole, ha condiviso in una lettera pubblicata sull’ultimo numero del settimanale diocesano torinese “La voce e il tempo”. A poco più di un mese dall’inizio del suo ministero episcopale, il presule afferma che incontrando il Consiglio presbiterale e quello pastorale ha cercato di porsi in ascolto “di quelle che in entrambi i consessi sono apparse come le ‘sfide’ più impellenti e più profonde che stanno davanti al nostro cammino di Chiesa che è in Torino”. “È sotto gli occhi di tutti”, osserva, “il fatto che il numero dei preti è in calo ormai da decenni e che la loro età media è piuttosto elevata. È meno evidente ai più, anche se non meno significativo, il fatto che anche il numero dei cristiani che vivono una qualche reale appartenenza alla Chiesa è di molto inferiore rispetto al passato”. “Insomma – esorta l’arcivescovo –, si tratta di guardare con lucidità la realtà e prendere sempre più profondamente coscienza che la nostra società non è più ‘normalmente cristiana’”. “Eppure, noi – rileva – siamo ancora strutturati – a partire dalle nostre parrocchie – nell’implicito che tutti siano cristiani; e operiamo, a diversi livelli, sulla base della implicita convinzione che sia così, con il grave rischio di investire tantissime risorse in attività pastorali che sembrano non portare frutto, di non provare ad investire (all’inverso!) energie laddove si tratterebbe di osare qualche percorso nuovo e, soprattutto, di perdere noi per primi il gusto della vita cristiana e di una serena e gioiosa sequela del Signore”, prosegue sottolineando che “appare sempre più chiara, dunque, la necessità anche urgente di ridisegnare il nostro modo di esistere, come Chiesa, sul territorio, al fine di continuare qui ed ora ad essere ciò che dobbiamo essere e ad offrire il Vangelo alle donne e agli uomini che incontriamo e lo desiderano. Non farlo, significherebbe rimanere schiacciati da un passato che ci impedisce di compiere la nostra missione nel presente e, dunque, di essere fedeli a Cristo”. Per mons. Repole, “assumere con serietà questa ‘sfida’ è mettersi in cammino per scovare nuove opportunità, che non sempre riusciamo a riconoscere; ed è la possibilità di riprendere confidenza con il fatto che c’è urgenza per tutti (preti, diaconi, religiose e religiosi, laiche e laici) di metterci in uno stato di ‘formazione permanente’, laddove per formazione non si intende solo la necessaria preparazione teologica, ma un itinerario di preghiera e spirituale, una partecipazione profonda alla vita liturgico-sacramentale, una esperienza comunitaria vissuta”. L’arcivescovo annuncia poi che nel prossimo anno pastorale, “facendo nostro e calando nella nostra specifica realtà il cammino sinodale”, in diocesi si lavorerà per “discernere bene la situazione nelle differenti zone della nostra diocesi, di rintracciare le potenzialità che ci sono e magari non vediamo, di ipotizzare modi nuovi di essere Chiesa nel territorio, di avanzare proposte per ‘cammini sperimentali’”. “Per un lavoro come questo e così decisivo – ammonisce – ci sarà bisogno dell’apporto di tutti”. “Per parte mia – assicura –, farò di tutto perché quello che vi propongo sia il primo passo di un reale cammino di cambiamento. In questo orizzonte dovrebbe apparire ugualmente evidente che sarà necessario rinsaldare o creare delle strutture di corresponsabilità, che siano l’espressione della vita ecclesiale sul territorio”.