Fine settimana con grandi processioni in tutti i paesi delle diocesi di Ales-Terralba. Ritorna “la processione”, la più importante dell’anno, quella che porta il Corpo di Cristo nelle strade dei centri piccoli e grandi, che mobilita arciconfraternite e associazioni. Il vescovo di Ales-Terralba e arcivescovo di Oristano, mons. Roberto Carboni, ad Ales guida il corteo che porta nella cittadina della Marmilla il Corpus Domini. Altrettanto faranno domani 57 parroci con celebrazioni particolarmente solenni dopo due anni di interruzione per il Covid. “È una grazia poter celebrare insieme e riprendere la tradizione della processione cittadina: essa segna – dice il vescovo – il passaggio da un periodo duro e difficile della nostra storia, a causa della pandemia, a una prospettiva di speranza, non per fare le stesse cose di prima e come prima, ma come un invito a rinnovare e approfondire la nostra relazione con Dio, dare senso ai segni e ai gesti della nostra fede”, nutrendoli “con una nuova consapevolezza e impegno”.
“Il pane eucaristico ci sfida e ci aiuta ad aprire i nostri occhi. C’è molta gente affamata, di Dio e del pane materiale. Viviamo – aggiunge mons. Carboni – in questo tempo una crisi spirituale e alimentare. È un dramma che tocca da vicino tanti nostri fratelli e sorelle che nel mondo soffrono per la mancanza di pane e il loro corpo, anch’esso immagine di Dio e presenza di Cristo, soffre perché affamato, martoriato, torturato, dimenticato. Non possiamo stare a guardare”.
La Chiesa di Ales-Terralba è particolarmente devota al “Corpus Domini” nel ricordo del miracolo eucaristico avvenuto il 19 aprile 1604 a Mogoro, una delle sue parrocchie al confine tra Campidano e Marmilla. Nella chiesa di san Bernardino, il giorno dopo Pasqua il parroco Salvatore Spiga aveva appena iniziato a distribuire la comunione ai fedeli quando due uomini, conosciuti per la loro vita disordinata, si avvicinano per prendere l’ostia consacrata. Appena ricevuta la particola, la sputano in terra sulla pietra della balaustra. Si giustificano dicendo che le ostie in bocca scottavano come due carboni ardenti, che avevano bruciato la loro lingua. Presi dai rimorsi per non essersi confessati prima della comunione si dileguano. Don Spiga fa raccogliere le sacre ostie cadute, ma si accorge che nel pavimento della balaustra erano rimaste impronte profonde lasciate dalle particole, due cerchietti scolpiti nel marmo, incancellabili. Il vescovo del tempo, mons. Antonio Surredo, apre un processo canonico per documentare il fatto straordinario. Il pezzo del gradino inciso viene rimosso per sottrarlo all’usura del tempo e custodito in un reliquiario, conservato in una teca argentea sotto l’altare. Per rappresentare la pietra del miracolo dopo 5 mesi dall’eccezionale evento si commissiona al pittore Francesco Pinna una pala d’altare, un trittico in cui al centro viene rappresentato il miracolo eucaristico, mentre sulle tavole laterali sono dipinti San Gavino e Sant’Antioco. Un atto notarile del 25 maggio 1686 registra il contratto stipulato dal parroco di Mogoro per erigere un tempietto di legno dorato sulla sommità dell’altare maggiore. Oggi, la pietra del miracolo eucaristico è sistemata sotto il nuovo altare consacrato alla fine del 2005, custodita all’interno di una teca d’argento.