Il presidente dei vescovi polacchi mons. Stanisław Gądecki pochi giorni fa è tornato dall’Ucraina. In un colloquio con il Sir il presule sottolinea che il viaggio, effettuato dal 17 al 20 maggio scorso, ha rinsaldato in lui “la speranza per la rinascita del Paese”. Accompagnato durante il suo soggiorno in Ucraina dal primate di Polonia mons. Wojciech Polak e dall’arcivescovo di Lublino mons. Stanisław Budzik, mons. Gądecki ha anche rimarcato che “oggi gli ucraini lottano in difesa della loro terra e dei valori europei”. Il presule, per la nostra testata, ha voluto specificare il significato di quelle parole in una realtà di guerra di inimmaginabile atrocità e violenza.
Quali sono questi valori per i quali oggi lottano gli ucraini?
Succede a volte che quando un Paese non riesce a trovare omogeneità al suo interno, si unisce soltanto quando viene attaccato dall’esterno. E questo è successo in Ucraina dove le persone, indipendentemente dalla lingua che parlano, russa o ucraina, oggi si sentono tutti ucraini. Gli abitanti dell’Ucraina in primo luogo lottano per la loro patria, e cioè per il territorio sul quale vivono loro stessi, le loro famiglie, e i loro connazionali. Soddisfatti del processo di democratizzazione degli ultimi trent’anni, difendono l’ordinamento dello Stato democratico dall’aggressione della Federazione Russa, che sembra non apprezzare molto la democrazia occidentale. Sono gli stessi ucraini a sostenere che il loro Paese sia stato invaso soprattutto per impedire che il processo di democratizzazione che aveva portato ad un rapido progresso e sviluppo economico potesse “contagiare” anche la Russia, dove la povertà è maggiore. Questa a mio avviso è la vera ragione della guerra. Gli ucraini poi difendono la propria vita e quella dei loro famigliari. Per questo hanno convinto le loro madri, le mogli con figli a cercare un rifugio sicuro all’estero. Ho saputo durante il mio viaggio che i feretri dei militanti caduti negli scontri sono stati accolti in ginocchio da parte dei civili.
Al di là di una presunta difesa degli abitanti di lingua russa del Donbass, così come dell’annessione della Crimea considerata russa, quali sono secondo lei le vere ragioni di questa guerra?
Nel corso della mia visita ho notato una situazione paradossale: il presidente della Federazione Russa da una parte afferma che gli ucraini sono fratelli dei russi, e a Kiev c’è persino vediamo un grande arco che avrebbe dovuto testimoniare quell’idea della fratellanza; dall’altra in realtà quelli ad essere attaccati più duramente sono stati proprio gli ucraini di lingua russa, coloro cioè che abitano nei territori dell’Ucraina orientale e che vengono trattati come peggiori nemici.
Il patriarca della Chiesa ortodossa di Mosca Kirill appoggia le iniziative del governo. Come valuta la sua posizione?
In Russia non ci sono differenziazioni tra la sfera della politica e quella della religione. Papa Francesco si è confrontato più volte con il Patriarca Kirill invitandolo a rivedere la sua posizione. So che in Ucraina, da quando è iniziata la guerra, il Patriarcato ortodosso di Mosca ha perso circa il 20% di fedeli a favore della Chiesa ortodossa ucraina che invece si oppone all’invasione russa.
Poco dopo l’inizio della guerra, Lei ha scritto al Patriarca Kirill. Ha avuto una qualche risposta?
Ho scritto due lettere al Patriarca Kirill, ma ho ricevuto risposta solo alla prima. A rispondermi è stato il metropolita Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del patriarcato di Mosca. In primo luogo sottolineava l’inscindibile alleanza di fede e di sangue tra Russia e Ucraina. Nella seconda parte della lettera veniva invece suggerito all’episcopato polacco di influenzare il mondo politico polacco, affinché questo non criticasse la Russia e tantomeno le sue azioni.
Il valore del perdono è uno dei valori cristiani fondamentali. Come valuta le prospettive di una riconciliazione fra ucraini e russi?
In questo momento non mi sembra di vedere molte possibilità per una rapida riconciliazione tra le parti. Gli ucraini chiedono ai russi un’ammissione di colpevolezza. Solo dopo potrà esserci un’eventuale riconciliazione e possibilmente anche il perdono. Credo però che se ne potrà parlare fra una cinquantina d’anni. Troppo sangue è stato versato. Al momento, infatti, anche la Chiesa cattolica di rito bizantino non sembra propensa ad una rapida riconciliazione.