Nata il 24 maggio 1972 dall’intuizione di don Carlo Muratore, l’Opam è la prima associazione italiana incentrata esclusivamente sulla promozione e tutela del diritto all’istruzione, identificando nell’istruzione e nella formazione professionale gli strumenti privilegiati per liberare l’uomo dalla miseria e restituirgli la dignità negata e cambiando radicalmente il concetto di cooperazione allo sviluppo che in quel tempo era concepito solo come invio di aiuti materiali. Nel 2000 diventa presidente dell’Opam don Aldo Martini, il quale punta a vivere il principio della fraternità nella reciprocità. Nel 2018 alla presidenza arriva don Robert Kasereka Ngongi, ex bambino beneficiario dell’Opam, quale ulteriore segno concreto degli importanti frutti dell’esperienza di fraternità e reciprocità vissuta tra Nord e Sud. A cinquant’anni dalla nascita, i Paesi in cui l’Opera è presente sono diventati 82, di cui 40 in Africa, 24 in Asia e 19 in America Latina. Consapevole della nuova emergenza educativa denunciata da Papa Francesco e della necessità di umanizzare il mondo, l’Opam rilancia oggi il suo impegno per dare il suo contributo al Patto educativo globale.
Sono 4, dunque, le parole per “una sola umanità” che identificano oggi l’operato dell’Opam: “Educazione per occupare da protagonista il proprio posto nella storia del mondo. Condivisione per assicurare l’attuazione di uguali diritti e doveri. Reciprocità per valorizzare processi di scambio e migliorarsi insieme. Fraternità per creare legami saldi e indissolubili tra i popoli”.
L’Opam riceve proposte d’intervento direttamente dai suoi referenti locali e le sottopone per il finanziamento ai suoi sostenitori. In questo modo le comunità sostenute sono protagoniste del loro sviluppo e l’Opam riesce ad operare sempre in modo molto mirato ed adeguato ai contesti. Un progetto può comprendere più tipi di intervento, di destinatari e di scuole. Tra le iniziative portate avanti, le adozioni scolastiche a distanza; raccolte fondi stabili finalizzate a garantire un supporto continuativo a quegli interventi che necessitano di maggiore aiuto, come edilizia scolastica, sostegno agli insegnanti, formazione di maestri di strada per i bambini di strada, corsi di alfabetizzazione e di formazione professionale per le donne; attività di educazione alla mondialità come formazione dei formatori, laboratori didattici e gemellaggi tra scuole del Nord e del Sud, progetti educativi.
Per festeggiare il 50°, l’Opam ha organizzato un concorso internazionale di poesia per studenti del Nord e del Sud sul tema “La poesia è una lettera d’amore indirizzata al mondo”. Al concorso, anticipa al Sir il presidente dell’Opam, don Robert Kasereka Ngongi, hanno partecipato “bambini dai 6 ai 12 anni e ragazzi dai 13 ai 18 anni e qualche ventenne. Uno spaccato di umanità che ci ha restituito l’immagine di una generazione a livello globale, per certi versi sensibile, coraggiosa e responsabile, per altri fragile introversa e alla ricerca di speranza”. In attesa di uno studio più approfondito dei componimenti, che sarà oggetto di una pubblicazione, don Robert segnala “tra i temi ricorrenti delle poesie provenienti dall’Africa, per esempio, la natura e l’ambiente, intesi come soggetti attivi con i quali interloquire. Entità concrete verso cui gli autori hanno espresso sia apprezzamento, quasi riconoscenza, sia preoccupazione per il loro sfruttamento dissennato. Un sentimento forte, carnale sempre lontano dal mero sentimentalismo, che in tanti lavori giunge alla presa in carico personale del problema e alla promessa di un impegno per la tutela”.
Il presidente dell’Opam prosegue: “Da tutti i Paesi, anche se con motivazioni diverse,
in tutti i lavori emerge fortissimo l’appello alla pace che diventa in alcuni casi vero e proprio grido a fermare le guerre,
come per i bambini della Repubblica Democratica del Congo”. In generale, “gli studenti del Nord per lo più hanno traslato l’immagine del mondo all’interno di sé stessi, trasformando così il dialogo con il mondo in una riflessione riguardante la loro interiorità; mentre gli studenti del Sud, per lo più hanno dialogato con il mondo considerandolo nella sua individualità”. Il sacerdote osserva: “Alcuni lavori dimostrano una specifica competenza e padronanza del linguaggio poetico, pur coerentemente ai livelli scolastici, mentre in tanti casi più che di poesie si tratta di libere trattazioni. Un dato che ci porta a riflettere sulla necessità di valorizzare di più nei percorsi scolastici la poesia, in quanto il linguaggio poetico è strumento per eccellenza di libertà e insieme di profondità espressiva. La poesia è lingua universale e dei sogni. E poiché tutti hanno il diritto di imparare a sognare, riteniamo importante che la poesia torni ad avere un ruolo di maggiore rilievo nelle scuole”.
Da questa prima edizione del concorso, conclude don Robert, “traiamo una conferma importante: la ricchezza che genera l’ascolto dell’altro. E poiché, come ci indica Papa Francesco, la ‘globalizzazione dell’indifferenza’ si supera passando per una profonda conversione del cuore dell’uomo, è necessario lavorare per comprendere la globalizzazione. Perciò dobbiamo insistere ad interrogarla, per cercare di comprenderla, soprattutto se vogliamo in qualche modo imparare a governarla. Per studiarla e riscriverla – e non semplicemente subirla -, dunque, la riflessione sulla globalizzazione non può che essere di natura antropologica, con l’attenzione tuttavia a liberare la dimensione culturale dal problema del territorio perché la cultura va oltre il riferimento alla terra. Per questo riteniamo che l’esperienza di questo concorso ci abbia regalato un grande bagaglio, di cui sentiamo la responsabilità di farci custodi e portatori”.
Le poesie pervenute sono circa 200 e arrivano dall’Africa (Repubblica Democratica del Congo, Sierra Leone, Camerun, Etiopia, Uganda e Togo), dall’Asia (Filippine, India, Indonesia e Myanmar), dall’America Latina (Bolivia e Brasile) e dall’Europa (Albania e Italia), in vari idiomi (albanese, arabo, bahasa, birmano, francese, inglese, italiano, kako, portoghese, swahili, tagalog e tamil). Tra i partecipanti, anche bambini appartenenti a minoranze etniche, come i ragazzi di El Alto in Bolivia e i piccoli Aymara, antico popolo indio, dell’altopiano andino; oppure a gruppi sociali discriminati ed emarginati come i Dalit dell’India. In altri casi si tratta di bambini e ragazzi che vivono in zone funestate da continui attacchi armati, come nel nord del Camerun dove seminano terrore i fondamentalisti islamici; o di giovani studenti che oggi reagiscono ad una violenza già subita, come le ragazze del St. Mary’s College di Aboke in Uganda, tristemente famosa perché nel 1996 qui i ribelli del Lra (Lord Resistent Army) rapirono un gruppo di ragazze. Una scuola che oggi rappresenta un segno di resurrezione e di speranza per la pace e lo sviluppo del Paese, per anni devastato dalla violenza di Kony e del suo esercito di bambine e bambini rapiti. Ci sono gli studenti di Lakka, figli delle vittime di abusi e soprusi di un decennio di guerra civile in Sierra Leone, e tanti bambini che tuttora vivono in situazioni di guerra, come gli studenti della Repubblica Democratica del Congo che hanno inviato diversi lavori dal nord Kivu, dal territorio di Butembo-Beni. Senza dimenticare i ragazzi delle scuole Opam in Etiopia che vivono il dramma della guerra con l’Eritrea; e le studentesse di Loikaw nel nord del Myanmar al confine con la Thailandia, attualmente rifugiate nel campo profughi di Inn Tain, nello Stato Shan, insieme con le suore che come possono continuano l’insegnamento nonostante da due anni le scuole in Myanmar siano state sospese a causa della pandemia e della guerra.
Situazioni di violenza e insicurezza sono vissute anche dai bambini del Mindoro occidentale nelle Filippine che hanno partecipato con diversi lavori. E gli studenti che vivono in situazioni difficili, di fame e denutrizione, a causa dei cambiamenti climatici, come quelli di Tchèbèbè nel Togo e di Batouri in Camerun. E proprio da Batouri è giunta la poesia di un bimbo di 9 anni che identifica il mondo con la manioca, un tubero dalla polpa bianca e soda, unica fonte di sopravvivenza per lui e per tutti coloro che vivono dove la crisi climatica fa avanzare senza sosta la desertificazione e dunque la fame. Altre poesie, inoltre, giungono dagli inferni delle favelas del Brasile, in particolare da due centri doposcuola Opam nati per salvare i bambini dalla strada, dalla prostituzione, dal narco traffico e dal rischio di essere uccisi durante i raid periodici per ripulire i quartieri dalla delinquenza. Altro centro partecipante, infine, il doposcuola per i bambini della foresta di Nita Maumere in Indonesia, dove l’Opam da poco ha avviato il suo primo progetto per contrastare fondamentalismi, discriminazioni e povertà.
La cerimonia di premiazione, condotta dalla giornalista Alessandra Giacomucci di Radio InBlu2000, sarà registrata e disponibile online i primi giorni di giugno. L’iniziativa è organizzata in partnership con Uciim (Unione cattolica italiana insegnanti, dirigenti, educatori, formatori), Aib (Associazione italiana biblioteche) – Commissione nazionale biblioteche scolastiche, Sir (Servizio informazione religiosa), Crbs (Coordinamento reti biblioteche scolastiche) e Trl Piemonte (TorinoReteLibri).