Gesualdi: “L’Africa è a rischio crisi alimentare” 

La guerra tra Russia e Ucraina manifesta i suoi effetti nefasti anche a migliaia di chilometri aggravando, soprattutto in una serie di Paesi africani, una serie di problemi sul fronte alimentare. Per capire la portata di questa crisi abbiamo sentito Francesco Gesualdi del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Vecchiano (Pisa)

(Foto ANSA/SIR)

La guerra tra Russia e Ucraina manifesta i suoi effetti nefasti anche a migliaia di chilometri aggravando, sopratutto in una serie di Paesi africani, una serie di problemi sul fronte alimentare. Per capire la portata di questa crisi abbiamo sentito Francesco Gesualdi del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Vecchiano (Pisa).

Qual era la situazione alimentare in Africa prima della guerra russo- ucraina?
Da anni l’Africa ha perso l’autosufficienza in materia dei cereali. Fra le ragioni vi è la politica di austerità imposta negli anni ottanta del XX secolo dal Fondo Monetario Internazionale che, ponendo il pagamento del debito estero come priorità, aveva imposto ai paesi africani di privilegiare le produzioni agricole per l’esportazione, piuttosto che per il fabbisogno interno. Oggi la Fao certifica che in Africa il consumo di cereali dipende in media per il 31% dalle importazioni. Andando sui singoli paesi, se ne trovano molti che hanno una dipendenza più marcata. Alcuni esempi sono l’Algeria che dipende dalle importazioni per il 70%, il Gabon per il 90%, il Congo per l’83%.

Tuttavia la dipendenza dalle importazioni non va confusa con la crisi alimentare che è una situazione in cui la gente rischia la fame per scarsità di cibo. Ossia per mancanza di cibo sia di origine locale che di importazione. Di solito questa situazione si genera per due ragioni principali: per guerre locali e per avversità climatiche. Quando scoppiano dei conflitti armati, l’agricoltura è uno dei primi settori a risentirne sia per il sequestro di forza lavoro che per il rischio di perdere la vita quando si esce per lavorare la terra.

Inoltre anche i commerci si rallentano o addirittura si fermano, bloccando anche l’arrivo di derrate alimentari da altri mercati. Quanto ai cambiamenti climatici danneggiano l’agricoltura a causa degli eventi estremi. Alcuni esempi sono l’eccesso di caldo, la siccità prolungata, o, al contrario inondazioni. Tutte situazioni che portano alla perdita dei raccolti con la conseguente impossibilità per la gente del luogo di potersi nutrire adeguatamente per mancanza di cibo. E se i conflitti provocano crisi alimentari che si abbattono sia nelle campagne che nelle città, le avversità climatiche provocano crisi alimentare soprattutto nelle campagne dove molti contadini basano la propria esistenza sull’autoproduzione. Nel 2021, la Fao ha censito 33 paesi africani  con presenza di crisi alimentari che hanno riguardato un totale di circa 70 milioni di persone. Fra i paesi più colpiti l’Etiopia, il Congo, la Nigeria (per conflitti armati), il Kenya, lo Zimbabwe, il Madagascar (per eventi climatici avversi).

Sappiamo che molti Paesi dell’Africa dipendono dall’approvvigionamento del grano dalla Russia e dall’Ucraina. Che responsabilità ha la guerra in Ucraina rispetto all’attuale crisi alimentare?
Russia ed Ucraina sono fra i maggiori esportatori di cereali. Assieme coprono circa il 30% delle esportazioni mondiali. E ci sono paesi africani che importano cereali principalmente da loro. Alcuni esempi sono  Libia, Uganda, Egitto, Tunisia.

La guerra in Ucraina ha bloccato i porti del Mar Nero da cui partivano i carichi di cereali, e come primo effetto si è avuto un aumento dei prezzi internazionali, anche se più per ragioni di carattere speculativo che di vera carenza di prodotto. Ma se la guerra persiste è ovvio che arriverà anche la penuria sui mercati internazionali con aumenti di prezzi imprevedibili.

Il che può trascinare tutta l’Africa in crisi alimentare non solo per minore quantità di cereali disponibili, ma anche per l’inevitabile aumento di prezzo dei beni di consumo finale. Ancora una volta saranno i più poveri a pagare.

Quali sono le conseguenze della crisi alimentare per le popolazioni?
L’impossibilità di mangiare a sufficienza genera contraccolpi di vario genere. Sul benessere personale, prima di tutto, ma anche sulla stabilità sociale e sulla tenuta dell’economia. Quando gli alimenti salgono di prezzo a tal punto da dover tagliare altre spese, o addirittura da non permettere di comprare abbastanza cibo, allora tutte le rabbie represse per le ingiustizie subìte vengono a galla. Perciò le crisi alimentari di una certa estensione si trasformano sempre in rivolte sociali. Ce lo ricordano le rivolte nei paesi arabi nel 2011 dopo l’impennata dei prezzi del pane. Per di più quando non si mangia a sufficienza ci si indebolisce, per cui si lavora con minor lena, con inevitabili ripercussioni sull’economia generale.

Quali altri fattori pesano sulla sicurezza alimentare del Continente africano?
Con l’aggravarsi della crisi climatica, il rischio più serio è rappresentato dagli eventi estremi: siccità o inondazioni.

Per questo è urgente ridurre immediatamente le emissioni di anidride carbonica a livello planetario in modo da raggiungere anche prima del 2050 il traguardo delle emissioni zero, ossia compatibili con la capacità di assorbimento del sistema vegetale e degli oceani.

Altrimenti assisteremo a milioni di persone costrette a migrare per sfuggire alla fame indotta dai disastri climatici.

Quali risposte vengono già date a livello internazionali a questa situazione molto grave?
La guerra in Ucraina dimostra che la politica a livello internazionale è più interessata a obiettivi di potere che a risolvere i problemi che affliggono l’umanità. I cento miliardi richiesti dai paesi del Sud del mondo per aiutarli a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici non si trovano, ma quando si tratta di aumentare le spese militari fino al 2% del Pil non si batte ciglio. Servirebbe una radicale inversione di tendenza.

Quali sono le prospettive per il prossimo futuro?
Se continua la politica del braccio di ferro fra Nato e Russia, le prospettive non sono incoraggianti. Almeno l’Unione Europea dovrebbe abbandonare la logica dei blocchi e cercare di costruire un continente europeo basato sulla collaborazione. In questa prospettiva dovrebbe adoperarsi per fare tacere subito le armi in Ucraina e permettere ai porti del Mar Nero di tornare a funzionare e ai campi dell’Ucraina di tornare ad ospitare coltivazioni di grano.

Produzione russa e ucraina e la Fao.
La Fao segnala che la Federazione Russa e l’Ucraina sono tra i più importanti produttori di prodotti agricoli al mondo. Entrambi i paesi sono esportatori netti di prodotti agricoli ed entrambi svolgono ruoli di primo piano nella fornitura nei mercati globali di prodotti alimentari e fertilizzanti. Nel 2021, la Federazione Russa o l’Ucraina (o entrambe) sono stati tra i primi tre esportatori mondiali di frumento, mais, colza, semi di girasole e olio di girasole, mentre la Federazione Russa è stato anche il primo esportatore mondiale di fertilizzanti azotati, il secondo fornitore di fertilizzanti potassici e il terzo maggiore esportatore di fertilizzanti al fosforo. L’altissima probabilità di interruzioni dei raccolti di grano e semi oleosi dell’Ucraina, combinata con la minaccia del commercio restrizioni alle esportazioni di cereali e altri prodotti alimentari di base dalla Federazione Russa mettono a repentaglio la sicurezza alimentare di molti paesi. Tra i paesi africani più dipendenti dal grano e dai cereali di Russia e Ucraina troviamo l’Eritrea e la Somalia (con più del 90%), Libano, Egitto, Madagascar (con più del 70%), Tanzania, Libia, Congo e Namibia (con più del 60%), Senegal, Cameroun, Mauritania con più del 50%.

(*) La Voce dei Berici

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