Un report che illustra le ragioni di un approccio integrato per contrastare la propagazione della “pandemia silenziosa della fame” che tocca sempre più l’Italia, in questi anni di difficile congiuntura economica, Covid-19 e ora impatto della guerra in Ucraina. Lo ha presentato oggi, a Milano, Azione contro la fame, insieme al progetto “Mai più fame: dall’emergenza all’autonomia”. Il report parte da un dato: la povertà ha da anni un trend crescente e secondo l’Istat, sono ora 5,6 milioni le persone che in Italia vivono una condizione di povertà assoluta, pari al 7,5% della popolazione. Il profilo dei beneficiari dell’intervento di Azione contro la fame conferma molte evidenze: sono donne l’80% delle persone che hanno richiesto di aderire al programma contro la fame. L’età è compresa tra i 30 e i 60 anni, con più della metà che dichiara di essere divorziata, separata o single; il restante 44% è coniugata o convivente. Nel 90% dei casi si tratta di famiglie con uno o più figli a carico e in buona parte di contesti monoparentali. La conseguenza della povertà è l’insicurezza alimentare e la difficoltà ad accedere ad una dieta sana diversificata: in un punteggio da 0 a 12, è risultato pari a 7,69 tra i partecipanti al programma, con la presenza dei dolci tra i cibi più consumati mentre il pesce, ricco di micronutrienti, è consumato molto meno. Azione contro la fame evidenzia “la necessità di invertire la traiettoria sociale discendente e ricreare le condizioni per la generazione del reddito e dell’autosufficienza”. L’organizzazione ha perciò messo a punto un programma per dare sostegno nell’immediato e “traghettare le famiglie da una condizione di emergenza alimentare ed occupazionale, ad una condizione di autonomia”. L’intervento è composto da tre elementi: sostegno alla spesa per l’acquisto di cibo e beni di prima necessità; educazione alimentare per indirizzare i beneficiari verso una dieta sana e bilanciata che favorisca la salute e il benessere del nucleo familiare; percorso di formazione ed accompagnamento all’inserimento lavorativo, finalizzato allo sviluppo delle competenze personali, sociali e professionali per favorire l’occupabilità e costruire la sicurezza alimentare nel lungo periodo. Il modello è basato sulle esperienze già fatte in Spagna, Palestina, Georgia e in diversi Paesi dell’America Latina.