Non solo a Mosca. Anche Transnistria e Moldova hanno avuto oggi la loro “Giornata della Vittoria”. Questa mattina a Tiraspol, capitale della regione separatista al confine tra Ucraina e Moldova, la mattinata è iniziata con l’alzabandiera della bandiera della “Vittoria”. Non c’è stata una vera e propria parata ma “una città in festa”. Di ritorno dalla Transnistria, è mons. Cesare Lodeserto, vicario generale della diocesi di Chişinău, a raccontare al Sir cosa ha visto a Tiraspol. “La gente è scesa per le strade, molti suonavano i clacson delle macchine. Si sono viste tante bandiere russe e transnistriane. E’ una popolazione che aspetta l’arrivo dei russi e teme attacchi degli ucraini”.
La Transnistria, il cui nome significa “oltre il fiume Dnestr”, è una repubblica filorussa che si considera indipendente, ma che nessun paese del mondo ha mai riconosciuto, neanche la Russia, con cui da anni i leader locali intrattengono stretti rapporti. Le istanze separatiste in Transnistria scoppiarono nel 1992, dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
Una “rivoluzione” che costò un migliaio di morti prima che si arrivasse a un cessate il fuoco a luglio del 1992. In tutti questi anni, il “conflitto” in realtà è rimasto congelato e la piccola Regione ha tessuto un forte legame con la Russia. Oggi il leader di Tiraspol, Vadim Krasnoselski, in una dichiarazione rilasciata ai media e ripresa dal quotidiano online moldavo “Timpul”, ha detto: “Qualsiasi guerra, non importa quanto terribile, alla fine deve finire in pace. E noi siamo seguaci della pace… Sono convinto che saremo uno Stato riconosciuto, ma mi piacerebbe molto che il nostro riconoscimento non avvenisse attraverso lo spargimento di sangue, ma in modo pacifico e civile, attraverso i negoziati. Abbiamo già versato il nostro sangue nel 1992, difendendo il nostro Paese”.
A Chisinau invece, nonostante la presidente Maia Sandu ha fatto scattare il segnale di massima allerta per mantenere l’ordine nel Paese vietando per legge parate e uso di simboli filo russi per il 9 maggio, diverse centinaia di persone questa mattina hanno partecipato ad una marcia organizzata in occasione del 9 maggio per la “Giornata della Vittoria”. Il corteo è partito dalla Grande Piazza della Assemblea Nazionale a Chisinau e si è diretto verso il Complesso Memoriale Eternitate, il monumento chiamato anche “Memoriale della Vittoria” costruito in epoca sovietica e inaugurato il 9 maggio 1975, in onore dei soldati che morirono nelle battaglie per la liberazione della Moldova e di Chisinau dai nemici durante la Grande Guerra Patriottica. A guidare oggi la marcia, c’era l’ex presidente della Repubblica di Moldova, Igor Dodon, conosciuto per le sue posizioni filo russe. Ha portato il nastro di San Giorgio sul petto, anche se è stato proibito per legge su tutto il territorio della Repubblica Moldova. Con lui anche diversi deputati socialisti e comunisti, e l’ex presidente moldavo Vladimir Voronin. Riferendosi al divieto dei simboli russi, Dodon ha detto: “Negli ultimi 10 anni, io con mia moglie e con i miei figli, abbiamo sempre partecipato a questa celebrazione, alla Marcia della Vittoria. Questa legge secondo me è incostituzionale. Ho il diritto alla libertà di parola e indosso quello che voglio”. La presidente Sandu aveva annunciato, sul sito web della Presidenza della Repubblica di Moldova, di non poter partecipare oggi agli eventi pubblici previsti per il 9 maggio, a causa di “motivi di salute” non precisati. Anche l’incontro congiunto e la conferenza stampa con il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, in visita in questi giorni in Moldova, sono stati cancellati. Quanto è avvenuto – commenta al Sir mons. Lodeserto – è una pagina difficile da comprendere perché apre scenari molto delicati. Questo dominio della festa in mani all’ex presidente Dodon la cancellazione deli impegni da parte della presidente così come il silenzio di Guterres sono aspetti sui quali riflettere per capire cosa sta avvenendo e quali sono i timori reali per il paese”. Il rischio più delicato è quello di “golpe bianco” che “aprirebbe ad una destabilizzazione del paese” in uno dei momenti più fragili della storia di questo Paese.