“La riconciliazione dà i frutti se si permette ad un popolo di sopravvivere fisicamente e di rimanere libero. Se invece viene sottomesso o addirittura sterminato, tutto il discorso della riconciliazione cade nel vuoto e non è possibile umanamente realizzarlo”. Lo dice al Sir il nunzio apostolico di Kiev, mons. Visvaldas Kulbokas, parlando della Settimana Santa in cui la Chiese predicano la riconciliazione. Il nunzio ritiene importante insistere e incoraggiare i propri fedeli “ad evitare l’odio e anche l’uso di parole denigranti contro l’aggressore perché come credenti non vogliamo cadere in questa spirale”. “Tuttavia – aggiunge mons. Kulbokas –, se da una parte c’è questa azione volta ad incoraggiare il perdono e la riconciliazione, dall’altra, la gente che abita nelle località bombardate dice che questo desiderio di riconciliazione va bene a condizione però che ‘sopravviviamo e rimaniamo vivi e liberi'”. “La riconciliazione è un dono ma, se il dono non viene corrisposto dall’altra parte, è tutto finito”, insiste il nunzio. “Quando il Santo Padre, la Domenica delle Palme, ha invitato ad una tregua pasquale, mi identifico con tutto il cuore in questo invito, aggiungendo: umanamente parlando si tratta di una cosa impossibile perché la guerra spinge in una spirale sempre più malefica e feroce da cui è sempre più difficile uscirne fuori. Ma da credenti, da cristiani, diciamo: ‘Signore, Tu puoi tutto, Tu puoi cambiare i cuori di tutti, di chi è re, puoi cambiare anche i cuori dei responsabili di questo disastro’. Invochiamo allora la tregua e la pace come un dono, come un vero miracolo di Dio. Se crediamo nella Resurrezione di Gesù che è il più grande dono per noi ma anche un miracolo umanamente impossibile, allo stesso modo crediamo per noi nel miracolo della pace”.