“Il confessore non decide al posto del fedele, non è il padrone della coscienza dell’altro”. Lo ha precisato il Papa, che ricevendo in udienza gli 800 partecipanti al XXXII Corso sul Foro interno promosso dalla Penitenzieria Apostolica ha ricordato che “il confessore, semplicemente, accompagna, con tutta la prudenza, il discernimento e la carità di cui è capace, al riconoscimento della verità e della volontà di Dio nella concreta esperienza del penitente”. Di qui la necessità di usare le “parole giuste”, e di “non fare un’ omelia domenicale: il penitente vuole andare via il più resto possibile, dire il giusto per accompagnarlo sempre”. “È sempre necessario distinguere il colloquio della confessione vera e propria, vincolato dal sigillo, dal dialogo di accompagnamento spirituale, riservato anch’esso, seppure in forma differente”, l’indicazione di Francesco. “Ho capito che qualche gruppo, qualche associazione, sta entrando in una relativizzazione del sigillo sacramentale”, la denuncia a braccio del Papa: “il sigillo è il peccato, ma tutto quello che viene dopo o prima del peccato puoi dirlo. No! Il sigillo è dal momento che si incomincia al momento della fine. Tutto è sigillo, per essere sicuri. E se qualcuno volesse che si sapesse qualcosa, chiedere il permesso. E’ dottrina comune, almeno in questo pontificato, che il sigillo è dal momento che inizia la confessione fino alla fine, e non finire in queste ‘nuances’ che poi servono per governare male”.