“I vecchi sono la storia e trasmettono la storia”. Lo ha detto, a braccio, il Papa, nella catechesi dell’udienza di oggi, pronunciata in Aula Paolo VI e dedicata all’eredità della vecchiaia. Il punto di partenza è il racconto della morte del vecchio Mosè, preceduta dal suo testamento spirituale: il Cantico di Mosè, che “è in primo luogo una bellissima confessione di fede”, ha spiegato Francesco, “ma è anche memoria della storia vissuta con Dio, delle avventure del popolo che si è formato a partire dalla fede nel Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe”. “Mosè ricorda anche le amarezze e le delusioni di Dio stesso”, ha sottolineato il Papa: “la sua fedeltà messa continuamente alla prova dalle infedeltà del suo popolo. Il Dio fedele e la risposta del popolo infedele: come se il popolo dovesse mettere alla prova la fedeltà di Dio, e lui rimane sempre fedele al suo popolo. Questo è il nocciolo del Cantico di Mosè: la fedeltà di Dio che ci accompagna tutta la vita”. “Quando Mosè pronuncia questa confessione di fede è alle soglie della terra promessa, e anche del suo congedo dalla vita”, ha ricordato Francesco: “Aveva centoventi anni, annota il racconto, ma gli occhi non gli si erano spenti. Questa capacità di vedere, non solo fisicamente ma anche simbolicamente, che hanno gli anziani, che sanno vedere il significato più radicato delle cose. La vitalità del suo sguardo è un dono prezioso: gli consente di trasmettere l’eredità della sua lunga esperienza di vita e di fede, con la lucidità necessaria. Mosè vede la storia e trasmette la storia: i vecchi vedono la storia e trasmettono la storia”.