“Se per cultura non intendiamo solo l’insieme delle espressioni letterarie, storiche, artistiche che caratterizzano un popolo o anche più popoli uniti da particolari legami, ma i valori (o, a volte, purtroppo, anche i disvalori) che determinano il pensare, il sentire, il valutare, l’agire di quella porzione di umanità, allora l’essere ‘capitale’ di tutto questo, l’essere cioè senza alcuna pretesa di grandezza, però con molta verità, chiamati a rappresentare il segno di ciò che è la cultura europea, allora la responsabilità della nostra città unitamente a Nova Gorica è molto grande”. Lo ha sottolineato questa mattina l’arcivescovo di Gorizia, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, nell’omelia che ha pronunciato in occasione delle festa dei santi patroni Ilario e Taziano.
Raccontando dell’attenzione verso la città che ha registrato partecipando all’evento “Mediterraneo Frontiera di pace” svoltosi a Firenze, l’arcivescovo ha parlato di come Gorizia sia considerata per “il suo essere posta sul confine tra il mondo latino e il mondo slavo, il suo essersi trovata al centro di due conflitti mondiali, il suo essere collocata in un territorio diviso dalla guerra, il suo percorso di riconciliazione con la città vicina. Devo riconoscere che c’è un interesse verso la nostra città, anche al di fuori dell’Italia e della vicina Slovenia, più ampio di quello che immaginavo o che forse tutti i goriziani – un po’ sempre autocritici e portati alla svalutazione della propria città… – pensano”. Redaelli ha poi offerto alcuni suggerimenti in vista dell’appuntamento del 2025. “Il primo è quello di riflettere con pacatezza e profondità sulla situazione che stiamo vivendo, senza eludere alcune domande fondamentali”, ha affermato, riferendosi alla guerra che si sta combattendo in Ucraina. “Come europei ho l’impressione che abbiamo archiviato troppo velocemente il ‘900, senza domandarci il perché l’Europa, erede della cultura classica e umanistica, della filosofia dei greci, della cultura giuridica dei romani, dei valori del Vangelo sia diventata la culla di nazionalismi, di ideologie distruttive come il razzismo, il nazismo, il fascismo, il comunismo e tante altre, e il grembo generativo di due devastanti guerre mondiali”, ha osservato, evidenziando che “la nostra città, il nostro territorio che ha ancora le cicatrici evidenti di quei disastri, potrebbe aiutare l’Europa a riprendere una riflessione autentica sul suo passato e sul suo presente”. Altri “suggerimenti” indicati dall’arcivescovo riguardano lo scambio tra le due città, la conoscenza della lingua slovena e l’azione comune tra le due città. Iniziando per esempio, dall’attività assistenziale-caritativa e dall’ambito educativo.