A Trieste tra i profughi afghani del centro diurno di via Udine

Sigillato il vecchio Silos degli asburgici accanto alla stazione lo scorso 21 giugno dopo uno sgombero pacifico e ben organizzato dalla prefettura, dalla tappa della rotta balcanica di Trieste emerge il dramma della tratta. Il primo approccio è in questi locali della Comunità di San Martino al campo, aperto mezzo secolo fa da don Mario Vatta e finanziato dalla Cassa di risparmio di Trieste. I volontari dell’equipaggio di terra di Resq, la nave di soccorso della società civile, offrono abiti, docce mentre l’assistenza sanitaria viene prestata dai medici di Donk

(Foto ANSA/SIR)

(Trieste) Sdraiati nel centro diurno di via Udine alcuni profughi afghani cercano di dormire dopo una notte piovosa d’estate passata all’addiaccio. Qualcuno arriva dal confine, chiuso ai valichi e per il resto poroso come sempre. Altri tornano nella città dove sono entrati mesi fa, dopo essere stati sfruttati e ingannati da trafficanti e caporali nelle campagne di mezza Italia.

Sigillato il vecchio Silos degli asburgici accanto alla stazione lo scorso 21 giugno dopo uno sgombero pacifico e ben organizzato dalla prefettura, dalla tappa della rotta balcanica di Trieste emerge il dramma della tratta. E di giorno il primo approccio è in questi locali della Comunità di San Martino al campo, aperto mezzo secolo fa da don Mario Vatta e finanziato dalla Cassa di risparmio di Trieste. I volontari dell’equipaggio di terra di Resq, la nave di soccorso della società civile, offrono abiti, docce mentre l’assistenza sanitaria viene prestata dai medici di Donk.

“Gli arrivi sono calati dopo la chiusura del Silos – spiega Giulio Zeriali, operatore della diaconia valdese per conto della quale ascolta le storie di migranti e monitora le frontiere – e a metà 2024 abbiamo avuto 5.000 arrivi circa”. Situazione paragonabile al 2022 come conferma il quadro in Slovenia, con 21mila arrivi in sei mesi, in prevalenza siriani, afghani, pakistani e bangladeshi. Tra le 2.520 persone definite di ‘altre nazionalità’ si cela un nuovo mistero del confine triestino, quello delle nepalesi. “Ne sono passate da noi 148 in cinque mesi – prosegue Zeriali – su 193 donne sole. La maggior parte riprende il viaggio per Spagna e Portogallo”.

Le poche informazioni raccolte raccontano di donne reclutate con l’inganno, indebitate per migliaia di euro e portate in volo da Katmandu a Cipro o in Serbia e da qui fino al capoluogo giuliano. Dopo la tappa, ripartono fino a Milano dove i trafficanti le imbarcano in aereo con passaporti falsi fino alla penisola iberica. Fino al saldo del debito le loro tracce si perdono nei meandri dello sfruttamento domestico, nei campi e in quello sessuale.

Un nuovo traffico scoperto recentemente dalla polizia alla frontiera italo slovena mostra un altro percorso del crocevia della disperazione tra Europa e Asia. A fine aprile, come riportava la France presse giorni fa, è stata fermata un’auto di lusso sulla quale viaggiavano donne, uomini e minori cinesi. Insospettabili perché vestiti bene con bagagli piccoli e trasportati dalla Serbia, dove possono sbarcare senza visto, attraverso i Balcani fino al confine italo sloveno da uomini cinesi che parlavano bene l’italiano. Ma in realtà alle vittime ben vestite era stato tolto il passaporto ed erano state ridotte in schiavitù, ha dichiarato la polizia italiana. Da Trieste gli schiavisti li portavano a Venezia e da qui la smistavano in Italia, Spagna e Francia.

Nove le persone arrestate e 77 i migranti identificati privi di documenti, la maggior parte donne, soprattutto minori tra i 15 e 18 anni. Anche dalle storie dei tanti arrivi dal Bangladesh emerge il dramma di poveri contadini senza via d’uscita, indebitatisi per 14-16mila euro per comperare dai trafficanti il visto di sei mesi concesso dal decreto flussi del gennaio 23 e truffati soprattutto in Campania dove le aziende che li avevano assunti non esistevano. Costretti a lavorare in nero per 30 euro al giorno, a pagare i caporali per dormire in alloggi di fortuna senza nemmeno poter tornare a casa perché nel frattempo, con interessi di 200 euro al mese impossibili da ripagare, hanno perso case e terreni pignorati da banche e strozzini e hanno le famiglie in mezzo a una strada. Nelle notti di Trieste si sente il lamento di padri e mariti talmente disperati, dicono, da non potersi nemmeno uccidere. Molti erano inquilini del Silos.

“Che nessuno rimpiange – conferma il presidente del consorzio Ics Gianfranco Schiavone –, grazie ai trasferimenti all’ostello degli scout a Camposacro, oggi gestito dalla prefettura e da qui all’hub di Bresso, la situazione per i richiedenti asilo è migliorata. Gli arrivi sono diminuiti. Resta invece critica la situazione di chi riparte, che nel 2023 erano il 70% delle persone intercettate, perché i posti dell’accoglienza dei transitanti sono pochi e se dovessero riprendere gli arrivi al ritmo dello scorso anno la gente tornerebbe a dormire in strada. Al momento una serie di blocchi sulla rotta balcanica tra Turchia e Grecia, Bulgaria, Serbia e Croazia ha fatto calare i flussi, ma la situazione può mutare. Preoccupa poi la situazione delle donne sole e dei minori non accompagnati afghani, che, come rilevato dal report ‘Vite abbandonate’ nel 2023 e in questa prima metà del 2024 sono in aumento”.

La situazione richiede vigilanza e una continua collaborazione tra la rete delle associazioni e le istituzioni. “Chiusa la favela del Silos – conclude padre Giovanni La Manna, il gesuita direttore della Caritas diocesana – i trasferimenti da Trieste dei richiedenti asilo procedono al ritmo di uno alla settimana. Per l’accoglienza dei transitanti c’è l’ostello di Camposacro e la sala parrocchiale di Sant’Anastasio che la diocesi ha aperto a proprie spese. Ora dobbiamo vigilare e dare informazioni ai transitanti sulle possibilità di fare tappa in alcuni luoghi sulla rotta e trovare ascolto. Ognuno deve fare la propria parte con spirito di collaborazione perché noi abbiamo a cuore le persone e la loro dignità”.

(*) Avvenire

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