Terra Santa

Striscia di Gaza: vescovi Hlc2017, “niente libertà. Cristiani locali resilienti”

Gaza, parrocchia Sacra Famiglia.

(Dall’inviato Sir a Gaza) “A Gaza manca la libertà. Il punto è proprio questo: la libertà. Ma al tempo stesso mi colpisce la capacità di vivere e di resilienza dei suoi abitanti. La piccola comunità cristiana (poco più di 1000 fedeli, di cui solo 135 cattolici su due milioni di abitanti, ndr.) che qui vive e opera lo testimonia”. Così monsignor Michel Dubost, vescovo di Evry (Francia), commenta al Sir la visita appena terminata nella Striscia di Gaza (12 e 13 gennaio) di una delegazione del Coordinamento dei vescovi della Terra Santa (Hlc2017) che prenderà ufficialmente il via domani sera a Betlemme (fino al 19). “Abbiamo visitato l’unico ospedale cristiano della Striscia – racconta il presule – e abbiamo visto come, attraverso le opere, i cristiani locali mettono in pratica il Vangelo. È un messaggio forte quello che ci arriva da questa comunità”.

Circa la situazione politica, aggiunge il vescovo, “non spetta a noi uomini di chiesa trovare soluzioni alla crisi in atto oramai da troppo tempo. A noi spetta pregare perché questa gente possa vivere libera”. Dello stesso avviso anche monsignor William Nolan, vescovo della diocesi di Galloway, (Scozia): “Ho visto una città viva, moltissimi i giovani, purtroppo privi di libertà. È lecito chiedersi che prospettive potrà mai avere tutta questa gioventù se non si troverà una soluzione al conflitto che dura da 50 anni”. Il ricordo delle ultime tre guerre racchiuse in soli 9 nove anni è alimentato dalle macerie ancora visibili in alcune zone della Striscia, come anche dalla ricostruzione che si comincia a vedere. “In questa situazione – dice al Sir il vescovo scozzese – acquista rilevanza sociale l’azione della comunità cristiana locale portata avanti con le scuole, un ospedale, con l’aiuto materiale di tanti benefattori, come la Caritas. Senza il contributo dall’estero tutto questo non sarebbe possibile”. Per mons. Nolan “c’è un tema di speranza che non va dimenticato e che deve essere alimentato dalla preghiera. Quando si ha davanti a una situazione che peggiora anno dopo anno è facile arrendersi. La preghiera diventa il cardine di tutto”.

“Non abbiamo mai visto così tanta sofferenza – dichiara monsignor Lionel Gendron, vescovo di Saint-Jean, Canada, e presidente dei vescovi del Paese nordamericano – per questo occorre esprimere vicinanza, solidarietà concreta, per esempio con pellegrinaggi e visite come questa che abbiamo appena concluso, e preghiera. Pregare alimenta la speranza in un futuro migliore, di pace e stabilità. Importante sarà anche, una volta tornati nei nostri Paesi, sensibilizzare l’opinione pubblica e i nostri Governi a favorire la ricerca di una soluzione politica”. Parole in linea con gli obiettivi del Coordinamento, composto da un gruppo di vescovi dall’Europa, dall’America del Nord e dal Sud Africa, istituito dalla Santa Sede per visitare e sostenere le comunità cristiane locali della Terra Santa. Obiettivi che si ritrovano in 4 “P”: preghiera, pellegrinaggi, presenza e persuasione. Quest’ultima si riferisce al lavoro da svolgere dopo l’incontro annuale, quando, tornati a casa, i vescovi parlano con i propri Governi, parlamentari, ambasciatori israeliani e palestinesi e ai media su una vasta gamma di questioni che interessano la vita dei cristiani, senza cercare privilegi ma solo la dignità e la giustizia per loro e per gli altri che vivono in situazioni di conflitto.