Media
“L’investimento sociale sui media è enorme. Non solo rappresentano una percentuale molto importante del sistema economico mondiale, ma costituiscono anche una parte notevole del nostro ambiente quotidiano. Sono oggetti (fisici e culturali) che connotano profondamente la nostra epoca”. Eppure, “nonostante questa loro centralità (o forse proprio per questo), i media soffrono di una evidente mancanza: non si sa bene che cosa siano”. Lo affermano Massimiliano Padula (presidente dell’Aiart e docente universitario) e Filippo Ceretti (sociologo) nel libro “Umanità mediale. Teoria sociale e prospettive educative” (Edizioni Ets 2016). Lo scopo del volume è proporre “una lettura radicalmente umanistica dei media digitali e dell’educazione mediale”. In queste pagine, “paradossalmente – spiegano gli autori –, il vero oggetto in questione non sono i media, ma ciò che li fa esistere: l’uomo mediale”. L’intento del saggio “è condurre il lettore ad oltrepassare l’idea che i media siano un soggetto autonomo, un ente a sé stante, dotato di intenzionalità propria e di capacità d’azione (culturale e formativa) efficace, causa libera di effetti sulla realtà: è questo il concetto che – in modo più o meno cosciente – sottostà alla gran parte dei discorsi sociali intorno ai media e al loro ruolo nella cultura contemporanea”. Alla base di “questa ‘sconcertante’ idea (per la quale i media sarebbero l’origine di trasformazioni epocali e di ‘automatici’ processi educativi) – osservano Padula e Ceretti – sta probabilmente un’inconsapevole ipostatizzazione dello stesso termine-ombrello ‘media’, utilizzato per indicare uno spettro indefinito di esperienze, di oggetti, di azioni e di testi. In realtà esperienze, oggetti, azioni e testi non hanno che un’unica origine e natura: l’umanità”.