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Guerra e giornalismo: Scaglione (Famiglia Cristiana) a Copercom, va “spogliata di tutto e ridotta a ciò che è: morte e sofferenza”

“La guerra andrebbe spogliata di tutto e ridotta a ciò che davvero è: persone che ammazzano altre persone, e ne fanno soffrire moltissime altre”. Lo scrive Fulvio Scaglione, vice direttore di Famiglia Cristiana, inviato e corrispondente di guerra, in un contributo per il Copercom. “Ho incontrato la guerra, da giornalista, in Somalia, all’inizio degli anni Novanta. Ero inesperto, e incline a cedere al fascino della guerra. Perché chiunque faccia questo lavoro sa che lo spettacolo degli uomini impegnati ad ammazzarsi può ipnotizzare. Dobbiamo proprio a questo – spiega Scaglione – anche una certa retorica giornalistica di kefiah e grigioverdi fin troppo esibiti, l’enfasi del ‘qui ci sono solo io!’, gli inviati ‘embedded’ e tutte quelle cose che abbiamo imparato a conoscere”. Ma “presi il vaccino qualche anno dopo, in Russia”, quando nel 1993 “ci fu il clamoroso scontro politico tra il presidente Boris Eltsin e il Parlamento”. In Afghanistan, prosegue Scaglione, “sono andato per la prima volta nel 1997, con i talebani insediati in gran parte del Paese. Kabul, la capitale, era in rovine dopo vent’anni di guerre: contro i sovietici, tra le fazioni, dei talebani contro le fazioni e i signori della guerra. Ero con un grande fotografo, Nino Leto, e nella città dei burqa e dei roghi di libri e musicassette nessuno ci diede fastidio”. Poi, “in una casa fatta con tanto fango e qualche mattone, incontrammo un ragazzo che era saltato su una delle migliaia e migliaia di mine inesplose. Aveva perso una gamba, stava imparando a usare le stampelle. Con grande fatica si trascinò fino a uno scaffale, tirò fuori un pane e ce lo offrì. Eccola, la guerra”, conclude Scaglione.