E’ un mondo senza pace. La Siria, lo Yemen, il Sud Sudan, la Repubblica Centrafricana, il nord del Mozambico (Cabo Delgado), nel Nord Kivu e Ituri della Repubblica democratica del Congo, la guerra civile nel Tigray in Etiopia. Sono ancora tanti i conflitti nel mondo: almeno 22 guerre ad alta intensità nel 2021, 6 in più rispetto all’anno precedente, quando erano 15 (dati Caritas italiana). Con l’Ucraina, purtroppo, si è arrivati a 23. Se invece si tengono in considerazione anche le crisi croniche e le escalation violente si arrivava a 359 conflitti nel 2020, tra cui quello storico e cronico tra israeliani e palestinesi. Tra il 2020 e 2021 erano già aumentate del 40% le persone che avevano bisogno di assistenza umanitaria, per un totale di 235 milioni di persone coinvolte. Il conflitto in Ucraina ha aggiunto oltre 12 milioni di persone in difficoltà all’interno del Paese – di cui 6,5 milioni sfollati interni – e più di 4,2 milioni di persone fuggite all’estero. Il punto su alcuni dei conflitti di cui non si parla più (o molto poco).
Siria
Il confitto in Siria dura da 11 anni e ha radici lontane. Nel corso della Primavera Araba del 2011, nell’ambito della strategia governativa di lotta contro il gruppo ribelle “Libero Esercito Siriano” (Free Syrian Army), il governo di Bashar al-Assad ha ripetutamente colpito obiettivi civili. Circa 500.000 le vittime. Più di 13 milioni di persone sono fuggite dal Paese o sono sfollate all’interno dei suoi confini. Oggi il 60% della popolazione soffre la fame, con i prezzi dei beni alimentari che sono raddoppiati nell’ultimo anno. 14,6 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria. Di questi, 6,5 milioni di bambini hanno bisogno di assistenza umanitaria, 2,5 milioni di bambine e bambini non vanno a scuola e quasi 800.000 sono malnutriti.
Yemen
Il conflitto in Yemen ha avuto inizio il 26 marzo 2015. Oggi la più grave crisi umanitaria al mondo, con 17,4 milioni di persone che soffrono la fame. Potrebbero salire a 19 milioni entro la fine dell’anno e hanno tutti bisogno di assistenza umanitaria. In 7 anni di conflitto tra la coalizione governativa appoggiata dall’Arabia Saudita e i ribelli Houthi filo-iraniani oltre 24.600 attacchi aerei hanno distrutto il 40% delle abitazioni nelle città, causando più di 14.500 vittime civili dal 2017. La guerra ha costretto 4 milioni di persone a lasciare le proprie case in cerca di salvezza, 1 milione al momento si trovano nel governatorato di Marib. E’ di pochi giorni fa la notizia che il presidente dello Yemen, Abd Rabbo Mansour Hadi, ha ceduto il potere a un nuovo consiglio direttivo che negozierà una soluzione politica per porre fine al conflitto. La decisione di Hadi segue l’entrata in vigore, il 2 aprile, di una tregua di due mesi, mediata dalle Nazioni Unite e concordata dalle parti.
Etiopia
In Etiopia si sta consumando una drammatica crisi nella contesa regione occidentale del Tigray. A marzo è stata annunciata una tregua ma una terribile carestia, e la difficoltà di accesso degli aiuti umanitari, rischia di affamare milioni di persone. Il conflitto tra il governo etiope e i combattenti affiliati al Fronte popolare di liberazione del Tigray è iniziato nel novembre 2020 e si è diffuso dal luglio 2021 in altre regioni dell’Etiopia settentrionale. Le organizzazioni per i diritti umani hanno denunciato una campagna di pulizia etnica, con massacri, esecuzioni extragiudiziali, violenze sessuali e arresti arbitrari da parte delle forze governative, delle milizie alleate e delle forze armate eritree alleate con quelle dell’Etiopia. Il 2 dicembre 2021 l’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) ha dichiarato che dall’inizio del conflitto il numero dei tigrini sfollati era arrivato a un milione e 200.000. Un rapporto Onu del 9 dicembre scorso ha riferito che tra il 25 novembre e il 1° dicembre vi sono stati più di 10.000 nuovi sfollati. Circa 1,7 milioni di bambini in tutto il Tigray sono stati privati dell’istruzione in questi due anni.
Mozambico
Nel nord del Mozambico, nella provincia di Cabo Delgado, dal 2017 la popolazione è vittima di violenti attacchi da parte di formazioni di matrice jihadista che mirano al controllo delle risorse, con migliaia di morti, feriti e circa 800.000 sfollati. Nelle prime settimane del 2022, nei distretti di Meluco e Macomia meridionale, ci sono stati oltre 20 attacchi in 4 villaggi, con 2.800 case danneggiate o distrutte dal fuoco. Dalla fine di gennaio, più di 14.000 persone sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni a causa dell’inasprirsi del conflitto e ancora oggi sono alla ricerca di sicurezza e beni di prima necessità.
Sud Sudan
Il Sud Sudan sta affrontando la sua peggior crisi alimentare di sempre in 10 anni di indipendenza, presto sfociata in cinque anni di guerra civile sino all’avvio di un processo di pace che nell’ultimo anno e mezzo ha fatto deboli passi avanti. Secondo un recente dossier di Caritas italiana la situazione umanitaria resta critica, con 8,3 milioni di persone in stato di bisogno; 1,4 milioni di bambini malnutriti; 1,62 milioni di sfollati e un significativo aumento di rifugiati e richiedenti asilo, pari a 2,3 milioni.
Repubblica Democratica del Congo
L’Ituri è una delle province più colpite da una violenza folle nella RD Congo, insieme al Nord Kivu, al Sud Kivu e al Tanganica. Intere famiglie – compresi bambini – sono state uccise a colpi di machete, centri sanitari e scuole sono stati saccheggiati e interi villaggi dati alle fiamme. Gli attacchi dei combattenti in tutto l’est hanno costretto intere comunità a fuggire. Perfino Medici senza frontiere è stata costretta un mese fa a sospendere le attività in due zone dell’Ituri a causa dell’insicurezza crescente. Secondo le Nazioni Unite che ci sono attualmente 5,2 milioni di sfollati nella Repubblica democratica del Congo, più che in qualsiasi altro paese eccetto la Siria. Il conflitto ha spinto 1,6 milioni di persone a lasciare le loro case solo nei primi sei mesi del 2020. Si stima che più di 3 milioni di bambini siano stati sfollati nell’est della RD Congo. Più di 8 milioni di persone soffrono di una grave insicurezza alimentare.
Mali
In Mali i jihadisti impediscono ai contadini di mietere le risaie, bruciano i loro campi e attaccano gli stessi lavoratori quando cercano di provvedere al raccolto. Secondo Acs (Aiuto alla Chiesa che soffre) la situazione è particolarmente instabile nella regione di Ségou, nel Mali centrale, a causa di scontri tra milizie della comunità locale e gruppo di autodifesa dei cacciatori di Donso, da un lato, e jihadisti dall’altro. Fonti locali parlano dell’esistenza di un terzo gruppo di banditi armati, difficile da identificare ma non appartenente né ai jihadisti né ai cacciatori di Donso. Dai dati Unhcr il numero di sfollati maliani interni ha superato i 400.000 alla fine di settembre 2021. I rifugiati includono sia musulmani sia cristiani, anche se il numero di musulmani supera di gran lunga quello dei cristiani, dato che quasi il 90% (88,7%) della popolazione del Mali è islamica.