Guerra del Vietnam

Hanoi, 1965: il viaggio di Giorgio La Pira per un accordo di pace con gli Usa

Mario Primicerio, allora giovane professore di matematica all’Università di Firenze che accompagnò La Pira in Vietnam, a 50 anni da quegli eventi ha deciso di pubblicare il suo diario di viaggio, corredandolo di un’accurata ricostruzione storica e di tutti i documenti più importanti, tra cui le lettere che La Pira inviava quasi quotidianamente all’amico Montini

Otto anni di guerra, milioni di morti e immani distruzioni che potevano essere risparmiate. L’accordo di pace, firmato a Parigi il 27 gennaio 1973, tra Usa, Viet Nam del Nord, Viet Nam del Sud e Repubblica del Sud Viet Nam si basò sugli stessi punti che La Pira aveva concordato con Ho Chi Minh, ad Hanoi, l’11 novembre del 1965: fine dei bombardamenti, applicazione degli accordi di Ginevra 1954 e riconoscimento dell’Fln. La missione che il Professore aveva intrapreso era stata difficile e delicata. Ma non era nata per caso. Era il frutto di quindici anni di rapporti intessuti con tutto il mondo per abbattere muri e costruire ponti. Nel dicembre del 1963, a Mosca, La Pira era stato uno dei relatori principali dell’ottava Tavola rotonda Est-Ovest e aveva ispirato il documento finale su pace e disarmo. Nella sessione successiva, che si tenne a Firenze nel luglio 1964, era nata l’idea di dar vita ad un centro studi sulla pace e il disarmo (Organisation for World Political Studies) di cui La Pira doveva essere presidente. Tra i primi obiettivi la riorganizzazione dell’Onu e la situazione vietnamita. Quando nel febbraio 1965 iniziarono i bombardamenti Usa sul Viet Nam, La Pira decise di convocare un Simposio che si tenne dal 24 al 28 aprile al Forte Belvedere. Da quell’incontro internazionale, che sviscerò tutti gli aspetti del conflitto, scaturì anche un appello ai capi di stato e di governo dei Paesi coinvolti.

La Pira intuì che, contrariamente a quanto affermava la stampa occidentale, le autorità del Viet Nam del Nord si sarebbero smarcate volentieri dall’abbraccio amico, ma soffocante, di Cina e Urss. Bisognava parlare direttamente con Ho Chi Minh, senza passare per Mosca o Pechino.

Tre persone gli furono di particolare aiuto: l’ambasciatore polacco a Roma, Adam Willmann, il direttore della Fao, Raymond Aubrac (amico di Ho Chi Minh) e un vietnamita residente a Parigi, Nguyen Van Chi. Grazie a questa ragnatela di contatti il 15 ottobre arrivò l’invito ad Hanoi da parte del segretario del Partito dei Lavoratori. Era il tassello mancante. E La Pira partì subito da Roma per Varsavia, dove arrivò il 20 ottobre, in attesa del visto per Hanoi. Con lui un giovane professore di matematica all’Università di Firenze, il 25enne Mario Primicerio, che a 50 anni da quegli eventi ha deciso di pubblicare il suo diario di viaggio, corredandolo di un’accurata ricostruzione storica e di tutti i documenti più importanti, tra cui le lettere che La Pira inviava quasi quotidianamente all’amico Montini. Il suo “sogno” era che la pace in Vietnam potesse essere annunciata l’8 dicembre, giorno in cui Paolo VI avrebbe concluso il Concilio. Le annotazioni giornaliere di Mario ci restituiscono non solo i fatti, ma anche l’atmosfera di quel viaggio che da Varsavia, passando per Mosca e Pechino li portò l’11 novembre all’incontro con Ho Chi Minh.
In quei mesi del 1965 La Pira aveva in mano una carta importante da giocare. L’amico Amintore Fanfani, ministro degli Esteri del governo Moro, era stato eletto – grazie anche al suo appoggio – presidente dell’Assemblea Onu. Sarà lui il canale per far giungere a Johnson la disponibilità nordvietnamita ad aprire negoziati senza la precondizione del ritiro effettivo dei militari americani. E Fanfani, come testimoniano i suoi diari, si mosse rapidamente scrivendo il 20 novembre una lettera al presidente Usa nella quale dava conto delle novità. Quattro giorni più tardi il rappresentante Usa all’Onu, l’ambasciatore Goldberg, riferì a Fanfani che Johnson lo ringraziava e che aveva trasmesso l’informativa al Dipartimento di Stato perché la esaminasse. La risposta ufficiale, a firma del segretario di Stato Dean Rusk, arrivò il 6 dicembre. Nonostante diversi rilievi critici il tono era positivo e sembrava indicare una certa disponibilità ad approfondire. Ma la realtà era ben diversa. In alcuni memorandum di quei giorni – scrive Primicerio – è “chiara la volontà di affossare l’iniziativa addossandone la colpa alla testardaggine degli avversari e alla loro volontà aggressiva”. Fanfani a questo punto pensa di giocare in proprio, senza coinvolgere di nuovo La Pira e senza neanche tenerlo informato. Quel giorno stesso, attraverso i canali che il Professore gli aveva indicato, fa giungere ad Ho Chi Minh una dettagliata relazione su tutte le obiezioni dell’amministrazione Usa, che non era rimasta convinta “di una reale volontà nordvietnamita di aprire negoziati senza precondizioni”. Della lettera informò subito anche Rusk. Due giorni dopo l’aviazione americana bombardava la principale centrale elettrica del Vietnam del Nord. E il 17 un quotidiano di provincia, il “St. Louis Post Dispatch”, dava notizia del viaggio di La Pira e del tentativo di mediazione. Da parte sua il Dipartimento di Stato diffondeva il carteggio Fanfani-Rusk, costringendo Hanoi a negare che ci fosse stato un “sondaggio per negoziati”. Il lungo comunicato dell’agenzia d’informazioni vietnamita, duro nella forma, non negava però alcunché nella sostanza. Era, insomma, come la definirà Fanfani nella sua comunicazione alla Camera, nel gennaio 1966, una smentita “di rito” di fronte alla fuga di notizie. Tanto è vero che lo stesso giorno Ho Chi Minh aveva fatto rispondere a Fanfani, a differenza di quanto era avvenuto pochi mesi prima con il tentativo di mediazione del segretario dell’Onu U Thant.

Ho Chi Minh e il suo primo ministro Pham Van Dong avevano creduto nell’ex-sindaco di Firenze. Ma i “falchi” dell’amministrazione Johnson erano convinti che l’opzione militare fosse quella vincente.

E non esitarono ad usare tutti i mezzi per farla fallire.
La vicenda, come racconta Primicerio, ebbe un epilogo che coinvolse anche Fanfani, costretto a dimettersi dal governo dopo la pubblicazione sul “Borghese” di un’intervista a La Pira, realizzata con un inganno dalla giornalista Gianna Preda. Era stata Bianca Rosa Fanfani a supplicare La Pira di passare da casa sua per un colloquio con un’amica in crisi di fede. Un’altra vicenda che portò molta sofferenza al Professore. In una lettera a Paolo VI il 22 gennaio del 1966 parlerà di “prefabbricazione del tradimento (e della menzogna)” per impedire la pace nel Sud Est asiatico. “Questo – scrive – è il fondo melmoso, demoniaco, che parte dai circoli più terribili… di oltre Oceano… e giunge ai circoli analoghi di Europa e d’Italia”.