Domenica 12 febbraio

Sir 15,16-21; 1Cor 2,6-10; Mt 5,17-37

Proseguendo nella lettura del discorso della montagna, il brano evangelico di questa domenica, dopo avere presentato le “beatitudini” e la missione del cristiano di essere luce del mondo e sale della terra, indica le esigenze morali della vita cristiana, premettendo, onde evitare l’idea di una rottura con l’insegnamento mosaico e profetico, che la legge antica non viene abolita, ma portata a “pieno compimento”. E sottolinea, Gesù, che a cambiare non sono i comandamenti, ma lo spirito con cui li si deve osservare. La “giustizia” che Gesù esige deve superare quella degli scribi e dei farisei: non è da intendere come fondata anzitutto sul “fare”, ma sull’“essere”.

Prende ad esempio tre dei dieci comandamenti: non uccidere, non commettere adulterio, non dire falsa testimonianza. Non basta non uccidere, per considerarsi osservanti del quinto comandamento; occorre non adirarsi, non insultare, non offendere, perdonare, riconciliarsi: solo così il quinto comandamento diventa vita. Allo stesso modo, non si osserva il sesto comandamento solamente non commettendo adulterio, perché il peccato, la malizia, esce dal cuore e dalla mente; il cuore e la mente devono essere casti. E, a proposito dell’ottavo comandamento, non basta non giurare il falso: occorre essere sempre fedeli alla verità, indipendentemente dal giuramento. Insomma: i comandamenti non sono solo questione di azioni buone o cattive, ma sono scelte di vita che nascono dall’interno della persona, coinvolgendo mente e cuore.

L’insegnamento evangelico è completato dal brano del libro del Siracide: la scelta di osservare o meno i comandamenti è scelta tra “la vita e la morte”, tra “il bene e il male”. Di fronte alla legge di Dio l’uomo si trova a dovere scegliere in libertà, sapendo però che le conseguenze sono diverse: “A ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà”; libertà di scelta, dunque, da cui derivano conseguenze di premio o di castigo.

Dio “che conosce ogni opera degli uomini”, guarda alla vita di ognuno traendone le conseguenze, rivolgendo il suo sguardo d’amore su coloro che osservano le sue leggi con la mente e con il cuore e non solo con le azioni esterne. “I suoi occhi sono su coloro che lo temono”: il santo timore di Dio non è paura di Dio, ma sincera volontà di osservare in pienezza i suoi comandamenti; questi custodiranno chi ha “fiducia in lui”. A costoro Dio dice: “Tu vivrai”. Nessuno può dare colpa a Dio per le proprie scelte sbagliate, perché Dio “a nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare”.