Cristo Re dell’universo

2Sam 5,1-3; Col 1,12-20; Lc 23,35-43

La crocifissione, il grande spettacolo sul calvario, dinanzi al popolo che guarda e ai capi che deridono. Noi, oggi, contempliamo silenziosi, con tensione acuta perché, pur sempre nella blasfema irrisione dei capi, la questione in gioco è decisiva perché riguarda il tema della salvezza già operata: Gesù ha “salvato” altri, tutti quelli che ha incontrato, evangelizzato, curato. Persino sulle labbra degli avversari, tutto questo è stato “salvare”.

Gesù è l’Eletto; un titolo inedito fatto proprio dai capi, ma già udito nella Trasfigurazione, nella voce che si usciva dalla nube (riferito al canto del Servo di Isaia: “Ecco il mio servo, che io sostengo, il mio eletto, di cui mi compiaccio”). I soldati sbeffeggiano, ma anche si “avvicinano” a lui per offrirgli l’aceto: avversione e attrazione irresistibile.

Il cartiglio, la scritta “sopra di lui”, autentica professione di fede e indicazione di regalità: “Quest’uomo è il re dei Giudei”. Nell’umiliazione già si manifesta la gloria del Signore. Lo aveva chiesto sulla montagna (“Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori”); oggi lo fa lui stesso, mostrandone l’effetto, anzi la causa: “Perché siate/siete figli del Padre vostro celeste”. Gesù è re perché salva perdonando tutti.

Il “Malfattore pentito”, dipinto dal Tiziano, fotografa il dialogo tra Gesù e uno dei due criminali. In primo piano è il capo luminoso del Cristo morente, in agonia, con una palpabile caligine bruno-dorata che domina lo sfondo. La crocifissione è brutale al punto che Cicerone invitava a starne lontani “Non solo dagli occhi ma anche dalle orecchie di un cittadino romano”. Non se ne doveva nemmeno parlare.

Gesù è inchiodato mentre per il ladrone è legato con le funi. Il Signore muore nella sofferenza atroce della solitudine e dell’abbandono dei discepoli e del suo popolo; sperimenta persino quella da Dio. Eppure Tiziano dipinge un corpo di Gesù illuminato, col capo reclinato grondante sangue e circondato dall’aureola. Il tema della morte nella fede e nella speranza del ladrone consapevole della propria corresponsabilità.

J. L. Borges, non credente, ha scritto una poesia, “Cristo in croce”: “Cristo non sta nel mezzo, è il terzo…. È un volto duro, ebreo. Non lo vedo e insisterò a cercarlo fino al giorno dei miei ultimi passi sulla terra”. È l’esperienza del ladrone in tre parole: “Ricordati di me”. In Austria, davanti a un crocefisso di campagna, una frase: “Io non ti capisco ma mi affido a te”.